Il Sole 24 Ore, 6 febbraio 2018
Troppi punti di scontro tra Bruxelles e la Turchia
Forte di tre argomenti convincenti – la spinosa questione sullo status di Gerusalemme, uno strategico accordo sui migranti che pare tenere, solidi rapporti commerciali bilaterali (con promettenti sviluppi per il futuro) – il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è arrivato ieri a Roma confidando, se non di ricucire i difficili rapporti tra Bruxelles e Ankara, quantomeno di riavvicinarsi ad alcuni importanti partner economici europei.
Scegliere l’Italia equivale a puntare su un Paese per inclinazione orientato all’adesione di Ankara alla Ue. Comunque meno ostile e diffidente rispetto ad altri Paesi europei. L’incontro con Papa Francesco ha poi permesso al presidente turco di ergersi ancora una volta a paladino non solo della causa palestinese, ma anche dello status della Città Santa. Tema caro al Vaticano. D’altronde, la decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele, e la troppo morbida reazione saudita, sono stati un’opportunità offerta su un piatto d’argento che Erdogan non ha mancato di sfruttare.
Ma in verità sono ancora pochi i punti di incontro, e molte invece le incomprensioni, tra Turchia e Unione Europea. A partire dal tema dei diritti umani, passando per un poco chiaro ruolo giocato nello scacchiere mediorientale (soprattutto nel conflitto siriano), fino all’ultima offensiva militare contro il distretto curdo-siriano di Afrin. Dove la Turchia punta a sconfiggere le milizie curde dello Ypg e formare una zona di sicurezza sul confine.
Iniziamo da quest’ultima crisi. Per Erdogan le Ypg non sono altro che terroristi, la longa manus in Siria del Pkk, movimento separatista curdo nella lista delle organizzazioni terroristiche di diversi Paesi. Ma per gli Stati Uniti sono finora stati gli alleati più efficienti e fedeli nella guerra contro l’Isis, armati da loro stessi. Per l’Europa non sono comunque organizzazioni terroristiche. Difficile che Erdogan ottenga l’aperto sostegno per una campagna militare agli occhi di altri Paesi controversa.
A mettere i bastoni tra le ruote è poi l’atteggiamento molto critico di Francia e Germania sulla situazione politica e umanitaria interna della Turchia. Forse Erdogan prima o poi dovrà digerire il riconoscimento di Parigi e Berlino del genocidio armeno da parte della Turchia. Ma le loro accese critiche al giro di vite sulla libertà di stampa e sui diritti umani, e le migliaia di arresti scattati dopo il golpe contro Erdogan (15 luglio 2016), facilitati dal perdurante stato di emergenza, appaiono per ora un ostacolo insormontabile.
È una situazione di stallo. Bruxelles è consapevole dell’importanza e dell’indispensabile ruolo geopolitico della Turchia, dotata di un grande esercito (il 2° della Nato) che funge da tappo di contenimento in una regione che ribolle, dove è in corso una guerra incancrenita.
Nonostante le perplessità che aveva sollevato in principio presso alcuni Paesi europei, l’accordo sui migranti raggiunto con il Governo di Ankara nel 2016 sta tenendo. I punti di attrito sono però tanti e tali da rendere remota la possibilità che la crisi diplomatica tra Europa e Turchia possa sbloccarsi in breve tempo. Irritato per l’attesa e per le accuse mosse al suo Governo, in difficoltà anche sul fronte politico interno, Erdogan sembra aver perso la pazienza. L’Europa sa che Erdogan si sta allontanando. E non sta facendo nulla per trattenerlo. Erdogan a sua volta sa che la porta per entrare nella Ue è per ora chiusa. E non sta usando argomenti convincenti per farla riaprire. Mentre Erdogan guarda sempre più a Oriente, a Cina e Russia, l’adesione alla Ue è di fatto congelata.