il Giornale, 6 febbraio 2018
Tutti i rischi del porto d’armi sportivo: a Traini 6 pistole da poligono e 3 comuni
Un uomo che da almeno due anni dava segni di squilibrio mentale, che a ottobre era stato allontanato dalla palestra dove era solito allenarsi perché ormai entrava facendo il saluto romano e disturbava gli altri clienti con i suoi discorsi farneticanti, che si vantava di essere stato definito come una personalità borderline. Che ci faceva un uomo del genere con una pistola? E come è possibile, soprattutto, che per quella pistola avesse un porto d’armi?
La terribile vicenda di cui è stato protagonista Luca Traini riapre inevitabilmente il dibattito sul tema, che da sempre divide l’opinione pubblica tra chi chiede maggiore libertà per i privati cittadini di acquistare armi e utilizzarle per la difesa personale, e chi invece ritiene che questo tipo di utilizzo vada ristretto alle forze dell’ordine e a poche categorie professionali ben definite. Traini aveva un porto d’armi per uso sportivo, anche se al poligono di Macerata non si faceva mai vedere. Oltre che di tentata strage aggravata dalle finalità di razzismo è accusato anche di porto d’armi abusivo: questo perché quel tipo di licenza consente di sparare solo all’interno dei poligoni, laddove durante il trasporto da e verso casa le armi devono essere smontate e scariche. Dopodiché ci si chiede come abbia fatto ad ottenere quel tipo di permesso e poi a conservarlo. Negli ultimi anni, a fronte di una progressiva riduzione del numero di licenze per difesa personale (che sul totale di 1 milione e 200mila sono meno di 20mila) c’è stato un aumento sospetto di quelle per la caccia e per l’uso sportivo (rispettivamente 775mila e 470mila). E, circa queste ultime, i conti non tornano mettendole a confronto con il numero di iscritti alla Federazione italiana Tiro a Volo (circa 20mila) e all’Unione italiana Tiro a Segno (circa 75mila). In pratica è un «segreto di Pulcinella»: molti scelgono di prendere questo tipo di licenza perché è più facile da ottenere e perché è sottoposta a minori controlli.
Il porto d’armi per uso sportivo si ottiene presentando, tra l’altro, un certificato di idoneità psicofisica. Consente di detenere fino a 6 pistole o fucili da poligono e fino a 3 armi comuni – il che spiega come mai Traini fosse in possesso di una Glock calibro 9 – e rispetto a quello per difesa personale ha una validità più estesa, ben 6 anni. «In 6 anni possono succedere molte cose ammette lo psichiatra militare Marco Cannavicci soprattutto perché tra un rinnovo e l’altro non c’è controllo esterno a meno che non intervengano infrazioni di tipo penale o una segnalazione alle forze dell’ordine. Sicuramente la normativa va rivista perché persone che non avevano i requisiti per la difesa personale si sono dirottate sulle licenze per uso sportivo che hanno maglie più larghe e perché i controlli a 6 anni si stanno dimostrando un tempo troppo lungo». E poi, sempre secondo Cannavicci, bisognerebbe decidere una volta per tutte chi deve fare gli accertamenti e quali devono essere questi accertamenti: «Attualmente ogni ente si regola in modo diverso, se vai alla Asl te ne prescrivono una ventina mentre se utilizzi il medico militare o di polizia ci si limita a un’analisi della vista e dell’udito». Insomma, l’uso spesso improprio delle licenze sportive è ormai sotto gli occhi di tutti così come la non uniformità delle prescrizioni: sono ipocrisie che andrebbero sanate al più presto, senza aspettare il colpo di testa del prossimo Luca Traini.