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 2018  febbraio 06 Martedì calendario

Coree, la pace fredda la squadra di hockey che non si parla

PYEONGCHANG A qualcuno piace freddo. Le due Coree restano appunto ancora due. Si allenano separatamente, ciascuna nei suoi spogliatoi. Appartamenti diversi, separati anche a tavola. Rapporti zero, strette di mano sottozero, come il termometro. E soprattutto incomunicabilità linguistica. Lost in translation pure loro. Lo ha rivelato Sarah Murray, coach canadese della nazionale femminile coreana di hockey, unico team misto, contaminato e riunificato. Dopo 70 anni di conflitto le parole per dirlo sono diverse. E le ragazze non si capiscono. Nord e sud fanno confusione: «Avevi detto lascia o passa?». Così coach Murray ha stilato un dizionario di tre pagine inglese- coreano. «L’hockey è pieno di termini anglosassoni, ma in Corea del nord le parole straniere sono vietate. Questo crea confusione. Le ragazze sono insieme da poco più di dieci giorni, certe situazioni non sono ancora chiare». Lei parla inglese, che per quelle del nord è arabo. «Noi diciamo pass. Loro “yeol lak”. Noi winger, loro “nahl gay soo”. Il nostro block shot si trasforma in “buhduh make”. In attesa del traduttore le ragazze sono state sconfitte 3-1 dalla Svezia. Il team della pace ha la stessa divisa, ma non usa l’inno ufficiale, a favore di un più intimo Arirang. Manca ancora la scioltezza mentale di sentirsi sorelle, di mangiare assieme: quelle del nord per legge non possono intrattenersi con quelle del sud. I due paesi non hanno rapporti: se imbucate una lettera non varca il confine. Trent’anni fa l’altra Corea boicottò le Olimpiadi di Seoul, questa volta prova a giocare anche lei. Anche se in arrivo ci sono altri 23 atleti del nord, fare gol insieme non è ancora facile. Alla partita delle ragazze dell’hockey c’erano dei manifestanti nazionalisti con bandiera americana che hanno inveito contro le “Olimpiadi di Pyongyang”. Il paese sulla riunificazione è diviso, l’economia non tira più, la disoccupazione giovanile è in aumento. Quelli sotto i 50 anni non vogliono sacrificarsi e pagare per quelli del nord, la vecchia generazione invece è propensa alla pace, avendo più memoria del trauma della divisione. E venerdì, giornata d’inaugurazione, sugli animi non soffierà una brezza calda, ma il gelido vento siberiano. E proprio a due passi dal confine più militarizzato del mondo. PyeongChang è a 70 chilometri dal nemico. E fino a questi Giochi ( c’è chi giura anche dopo) era un posto sconosciuto. Buono per coltivare patate e per pascolare 34 mila anime e due candidature fallite (2010 e 2014). Il perchè è facile da capire: zona depressa e lontana. La regione di Gangwon è la più povera del paese: qualche incrocio, qualche bar da karaoke, alberghi per amori frettolosi. Il governatore della provincia, Choi Moon ha ammesso: «Siamo l’ultimo posto dove il governo pensava di investire». Perfino il nome è a rischio confusione: in origine Pyeongchang era confusa con Pyongyang, capitale della Corea del nord, per cui si è pensato bene di introdurre una maiuscola PyeongChang, anche se nessuno la usa.
Il governo per lanciare questa località sciistica non memorabile ha speso 13 miliardi di dollari. Ora Seoul è più vicina: con un treno ad alta velocità, un’autostrada, con 97 tunnel e 78 ponti. Ma la fama di questa regione resta inospitale: un terzo dell’esercito coreano, 600 mila soldati, sono di stanza qui, il servizio militare ( due anni) è obbligatorio, e nessuno dichiara di volerci tornare: gli inverni sono rigidi, le colline fredde. E le montagne sono piene di mine, di torrette, di carri armati. Vero che la delegazione nordcoreana è una migrazione ( più di 500 persone), ma la maggioranza di loro non ha un accredito olimpico. Le 230 cheerleaders, già sopranominate l’Armata della bellezza, sono state alloggiate a Inje Speedium, posto rurale, isolato e poco peccaminoso, circondato da installazioni militari. E per venerdì, giornata della cerimonia inaugurale, è già scattato l’allarme: non per i missili di Kim Jong- un, né per la presenza di Kim Yong- nam, ma per il grande freddo. Si viaggia sui – 20, oltre a delle barriere antivento, per evitare che gli spettatori si ibernino sarà distribuito un kit con coperte, guanti, materiale riscaldante. Sbrinare gli animi sarà già molto.