la Repubblica, 6 febbraio 2018
Il Napoleone segreto nel suo labirinto
Era il 2005; Peter Hicks, storico a Cambridge, preparava un saggio su Hudson Lowe, il perfido governatore di Sant’Elena, “sicario a fuoco lento” dell’imperatore Napoleone in esilio. Hicks va alla British Library a controllare le carte del superiore di Lowe, il ministro della guerra lord Henry Bathurst; tra i titoli, legge con sbalordimento: Copia del Manoscritto originale preso al conte di Las Cases alla sua partenza da Sant’Elena. In effetti, il Memoriale di Sant’Elena – il meraviglioso racconto dell’ultimo esilio di Napoleone, che trasformò un vinto in un idolo – era stato confiscato a Las Cases il 25 novembre 1816; quel giorno era stato arrestato e allontanato d’autorità dall’isola; «non lo vedrete più, il vostro memoriale», aveva soffiato il generale Bertrand al segretario dell’imperatore.
Invece gli fu restituito, ma solo dopo la morte di Napoleone; Las Cases lo pubblicò nel ’23, e poi continuò a rivederlo e ampliarlo, sempre con straordinario successo.
Dopo due secoli in cui si è spesso dubitato dell’autenticità del testo di Las Cases e delle sue conversazioni con Napoleone, lo storico Hicks, con comprensibile eccitazione, aveva dunque ritrovato la copia diretta di un manoscritto tra i più celebri e ricercati della storia: Bathurst, prima di restituirlo, aveva fatto evidentemente trascrivere l’originale dai copisti dell’Ufficio coloniale.
Si trattava ora di ottenere l’autorizzazione a studiare e pubblicare l’opera; depositata nel 1965 alla British Library, resta infatti proprietà della famiglia Bathurst. Nel suo castello di Cirencester nel Gloucestershire, un po’ incuriosito dall’incontro con un emozionato topo di biblioteca, l’ottavo conte Bathurst ha concesso senza difficoltà l’uso del manoscritto.
Hicks riferì la scoperta ai colleghi della Fondation Napoléon; e in quattro (Thierry Lentz, lo stesso Peter Hicks, François Houdecek e Chantal Prévot) hanno quindi trascritto e curato l’originale Manuscrit de Saint- Hélène ritrovato, che ora esce in Francia (Perrin, pagg. 828, euro 42).
Non ci sono dubbi: le note prese di prima mano, giorno per giorno, da Las Cases, sono già il capolavoro che commuove da due secoli. Il testo è più breve, spesso identico: ma ci sono molti tratti poi cancellati nella versione a stampa, per prudenza (è la Restaurazione) o rispetto. Il ritratto mirabile della principessa di Lamballe, per esempio: che, per stordita e romanzesca eleganza, torna accanto a Maria Antonietta quando non è più la favorita e il pericolo è fatale. O l’arciduchessa Maria Luisa spaventata all’idea del matrimonio imperiale: a Vienna un fratellino bruciava bambole dicendo: «Arrostiamo Napoleone».
Aneddoti fulminanti: il matematico Monge, al club dei Giacobini, offriva le due figlie ai primi due soldati feriti in guerra per la Rivoluzione, e voleva forzare tutti a fare altrettanto.
A Sant’Elena, l’Imperatore si lava: «Molto grasso, poco peloso, pelle bianca, i seni come una donna». Dichiara, inattesa, l’ammirazione per il coraggio dei principi Borbone: compreso il conte d’Artois, futuro Carlo X. Per due volte, è la tentazione del suicidio: «Ma è difficile abbandonare la speranza e la gloria».
Ecco la minuzia delle stanze: la carta dell’Italia, srotolata per raccontare la campagna del 1796-97, esce fuori dal salottino. È dalla campagna d’Italia che Napoleone ha «seppellito», confessa, «ogni ricercatezza»: a Sant’Elena gli capita di affettare gli arrosti per i convitati (un tratto di eleganza, all’epoca: vi eccelleva Talleyrand), e si stupisce di esserne ancora capace.
Un giorno, dice a Las Cases che teme che lui si annoi in sua compagnia; Las Cases ne è colpito al cuore: (semmai, ribatte, è ora sotto Luigi XVIII che la noia è «esagerata»).
Durante i Cento Giorni, Napoleone, sulla sua scrivania che è la stessa di Luigi XVIII, ha trovato delle lettere d’amore del re – sono «accademiche». A Sant’Elena, Napoleone non riesce più a rigirarsi nel suo letto da campo: e fuori della porta, si cammina tra i corpi degli uomini del suo seguito che dormono a terra, ma «a portata di voce dell’Imperatore» – come nei castelli dei sovrani. La misoginia del còrso: «La nobiltà francese è come le Sabine; bisogna violentarla, ma poi resta fedele». Si conversa di letteratura e di tattica; Napoleone non sa che pensare della conquista islamica del VII secolo, così veloce, e compiuta da popoli del deserto senza disciplina.
Ben netto invece l’autoritratto politico: l’Imperatore si dichiara «l’uomo della Rivoluzione», anche se l’ha «fermata»; i suoi nemici restaurati sul trono rischiano di rimetterla in moto.
Tra tante pagine nuove, ci sono note di mano di Napoleone, che dunque conosceva e si riconosceva nel ritratto di Las Cases: «Ma sì, scriviamo le nostre memorie: toccherà lavorare; anche il lavoro è la falce del tempo».