la Repubblica, 6 febbraio 2018
Bataclan, il mistero del killer che si difende con il silenzio
PARIGI È seduto in prima fila, piantonato da due agenti incappucciati. Salah Abdeslam ha la barba lunga, una camicia bianca. «Giudicatemi pure, ma io ripongo la mia fiducia solo in Allah», scandisce guardando la presidente del tribunale. Fa solo finta di rompere un silenzio lungo due anni, nel quale ha rifiutato di essere difeso da un avvocato, ha vissuto senza proferire parola, leggendo il Corano e pregando, rinchiuso in un isolamento durissimo, che nessun altro criminale ha mai avuto, nel carcere più grande d’Europa alle porte di Parigi.
L’unico terrorista superstite degli attentati del 13 novembre 2015 è anche il solo che potrebbe, forse, aiutare gli investigatori a penetrare i molti misteri di quella stagione del terrore. Le speranze dei parenti delle 130 vittime erano tutte rivolte ieri verso il Palazzo di Giustizia di Bruxelles diventato un bunker, con cecchini sui tetti, elicotteri in cielo, poliziotti ovunque. Abdeslam, 28 anni, è stato portato all’alba da Fleury- Merogis con un convoglio scortato da forze speciali. Per la prima volta appariva in un’aula di tribunale ma non per fatti legati al terrorismo. È imputato nel processo sulla sparatoria contro poliziotti belgi avvenuta il 16 marzo 2016 in uno dei suoi nascondigli nel quartiere di Forest.
Il decimo uomo del commando di Parigi, il martire mancato, potrebbe raccontare molte cose. Perché non si è fatto esplodere come suo fratello e gli altri kamikaze degli attentati parigini? È un semplice vigliacco o qualcosa è andato storto? Secondo una recente perizia, il giubbotto esplosivo che indossava aveva un difetto tecnico. Abdeslam ha partecipato all’organizzazione degli attacchi a partire dall’estate 2015, facendo diversi viaggi tra Belgio, Ungheria, Germania per recuperare in macchina alcuni dei terroristi mandati dalla Siria. Sempre lui si è occupato del noleggio degli appartamenti e della macchine serviti agli attentatori nella capitale francese. Dopo il 13 Novembre, durante la fuga di 126 giorni ha goduto di molte complicità. E gli investigatori belgi s’interrogano anche sul suo ruolo negli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016, avvenuti solo quattro giorni dopo la sua cattura.
Abdeslam si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. «Perché sei qui? Ti viene data la possibilità di parlare» ha insistito ieri la giudice. Lui ha risposto prima con una preghiera in arabo, e poi qualche breve frase. «Mi è stato chiesto di venire, sono venuto semplicemente. C’è un processo, sono il protagonista di questo processo, sono accusato e sono qui, ma resto in silenzio. È un mio diritto. E il mio silenzio non mi rende un criminale. Mi difendo così in silenzio: ci sono prove, mi piacerebbe essere giudicato sulle prove scientifiche e tangibili, e non su ostentazione o l’opinione pubblica». Il figlio della piccola borghesia marocchina di Molenbeek, che un tempo beveva, fumava e frequentava le discoteche, proprietario di uno dei bar dello spaccio di Molenbeek, non riconosce la legittimità dei magistrati, parla di «presunzione di innocenza». E poi sfida la corte con tono provocatorio: «Non ho paura di voi, né dei vostri alleati». La presidente del tribunale chiosa: «Ne prendiamo atto e lo deploriamo». Il processo va avanti, con la richiesta del massimo della pena, vent’anni di reclusione, per Abdeslam e il suo complice Sofien Ayari.
In questi mesi di detenzione, Abdeslam ha risposto a qualche lettera di ammiratrice che lo considera una vittima, un uomo da redimere. I suoi contatti con la famiglia sono stati limitati. Il fratello Mohamed, che ha lavorato per il comune di Molenbeek, è andato a trovarlo quasi ogni mese, per tentare di convincerlo a parlare. È attraverso di lui che Abdeslam ha cambiato idea sulla difesa, riprendo l’avvocato belga Sven Mary, che l’aveva in un primo tempo abbandonato.
Abdeslam non ha dormito in Belgio. Alla fine dell’udienza, è stato riportato nel nord della Francia, nella prigione di Vendin- le- Vieil, 130 chilometri da Bruxelles. Per la durata del processo farà la spola con il Belgio. Le autorità francesi non vogliono cedere il detenuto Numero Uno. Nella sua cella di nove metri quadrati c’è una tv chiusa dentro a una bolla di plexiglass per evitare che possa tentare di spaccarla e ferirsi. Abdeslam è sorvegliato da telecamere notte e giorno. Deve arrivare vivo al 2020, anno nel quale dovrebbe incominciare il maxi- processo per gli attentati parigini.