Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 06 Martedì calendario

Perché i rimpatri non funzionano

ROMA Anche ammesso che fossero veramente 600.000 (ma l’ultima fotografia del rapporto Ismu ne fissa il numero a 491.000), per riportare a «casa loro» quelli che Silvio Berlusconi definisce una «bomba sociale pronta ad esplodere perché pronti a compiere reati» ci vorrebbero 8 anni e due mesi. Questo, se il governo riuscisse ogni giorno a metterne 200 su un aereo. Ma per portarli dove?
Gli “irregolari”, va premesso, non sono solo quanti hanno chiesto asilo, ma non hanno ottenuto la protezione internazionale (circa 6 su 10: solo nel 2017, i dinieghi sono stati 47.839 su circa 80mila domande), ma anche immigrati col permesso di soggiorno scaduto, magari perché assunti in nero, e i cosiddetti overstayers, rimasti in Italia dopo la scadenza del visto (è il caso di molte lavoratrici domestiche). In ogni caso, negli ultimi tre anni, il numero degli stranieri realmente allontanati dall’Italia è di poco inferiore ai 55mila (quasi 20mila nel 2017 considerando anche i respinti alla frontiera, cioè chi è stato bloccato all’ingresso). Ma di questi solo 18.500, circa uno su tre, sono migranti già presenti in Italia e poi rispediti in patria.
Il vero vulnus che rallenta la macchina dei rimpatri è la mancanza di accordi con i Paesi d’origine. L’Italia, si sa, ha accordi che funzionano solo con 4 Paesi: Nigeria, Tunisia, Egitto e Marocco. In questi Stati (al netto delle difficoltà che derivano dal numero limitato di posti nei Centri di identificazione ed espulsione e dai costi proibitivi di ogni volo, dato l’esercito di persone che si deve muovere con i migranti), negli ultimi quattro anni l’Italia ha riportato almeno 25mila persone. Ma che ne è degli altri, provenienti dall’Africa subsahariana o da altri Paesi, cui non viene riconosciuto il diritto alla protezione internazionale?
Guinea, Bangladesh, Costa d’Avorio, Mali, Gambia, Senegal, Sudan sono le nazionalità più ricorrenti tra gli sbarcati. Chi proviene da qui e non ottiene la protezione non può certo essere messo su un aereo e paracadutato in territori che non accettano di veder rientrare chi è espatriato illegalmente. Per questi migranti, che escono dal circuito dell’accoglienza quando la loro richiesta d’asilo si conclude con un rifiuto, l’espulsione si riduce a un foglio di via che impone loro di lasciare il territorio italiano nel giro di 7 giorni. Ma anche per stranieri (ad esempio i tunisini) originari di Paesi verso i quali il rimpatrio è ormai una prassi collaudata, la possibilità di sfuggire all’iter (che prevede la detenzione temporanea in un Cie, l’identificazione certa, la visita medica e il provvedimento di espulsione del giudice prima di essere messi su un aereo o su una nave) resta molto alta. Prova ne sono le ripetute rivolte scoppiate negli ultimi mesi a Lampedusa, dove decine di immigrati tunisini, trattenuti nell’hotspot ben oltre i termini di legge, hanno protestato (anche cucendosi la bocca), riuscendo alla fine a essere portati ad Agrigento dove, in mancanza di posti nei Cie, hanno ricevuto anche loro un foglio di via prima di far perdere le loro tracce. D’altra parte, in Italia oggi i Centri di questo tipo sono solo 6: a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma e Torino. Solo 359 i posti disponibili, ben poca cosa rispetto ai migranti che, sulla carta, andrebbero lì trattenuti ed espulsi. Che, nel 2016, sono stati 2.984, ma di questi solo la metà è stata poi effettivamente riportata nel Paese d’origine. Per motivi burocratici (come accadde nel caso di Anis Amri, il terrorista della strage di Berlino lasciato andare dal Cie di Caltanissetta perché il riconoscimento non era avvenuto entro i tempi di legge) o per mancanza di fondi. Perché, per portar fuori dall’Italia un espulso, ci vogliono circa 4.000 euro, spesa che tiene conto del costo del “biglietto” aereo o della nave per il migrante e per tutte le figure che la legge prevede lo accompagnino nel viaggio: due agenti di scorta a testa, medici, poliziotti. Oltre al noleggio dell’aereo e al carburante.
Insomma, per approssimazione, anche se si riuscisse a riempire interamente un aereo, il viaggio non costerebbe meno di 800.000 euro. Ma la maggior parte delle volte, su un charter (che magari fa più di una sosta) non salgono più di 50 migranti alla volta. E i costi lievitano ancora.