La Stampa, 6 febbraio 2018
Silvio Boldrinoni
Era il 23 agosto 2009 e lui, a parte un colorito mogano-palissandro, era tirato a lucido e laccato come un sanitario Ideal Standard. Lui nel senso di Silvio Berlusconi, ancora premier, reduce da una visita di Stato in Tunisia e in partenza per la Libia dall’amico Gheddafi, rilasciò una memorabile intervista alla tunisina Nessma Tv, che aveva appena comprato in società col vecchio compare Tarak Ben Ammar (presente quel giorno in studio con lui) e con l’amico Gheddafi. Lì il Cainano, ammiccando con l’occhio lubrico da latrin lover all’avvenente conduttrice che lo riempiva di elogi, lanciò un appello agli africani perché si trasferissero in massa a casa nostra: “Noi italiani abbiamo il dovere di guardare a quanti vogliono venire in Italia con una apertura totale di cuore. E di donare a coloro che vengono in Italia la possibilità di un lavoro, una casa, di una scuola per i figli e la possibilità di un benessere che significa anche la salute e l’apertura di tutti i nostri ospedali alle loro necessità e questa è la politica del mio governo… È necessario incrementare le possibilità per la gente che vuole tentare nuove opportunità di vita e di lavoro, occorre aumentare le possibilità di entrare legalmente in Italia e negli altri Paesi europei. Questo è ciò che voglio sia fatto, non solo in Italia, ma in tutta Europa”. A quel punto l’occhio da cascamorto virò nell’occhio umido da caimano: “E poi bisogna dire che gli italiani sono stati un popolo che ha lasciato l’Italia e che è emigrato in altri Paesi… La cosa più terribile sono le organizzazioni criminali, che approfittano della speranza degli altri, delle persone che sono nella miseria e che vogliono donare a se stessi e ai propri cari un futuro migliore. E allora si affidano a persone che con imbarcazioni non sicure si mettono in mare, con tragedie a ogni istante”. Così, in un nanosecondo, milioni di maghrebini – ignari del livello medio di attendibilità di ogni parola che esce dalla bocca di B. (zero) – si fecero l’idea che l’Italia fosse diventata il loro Paese di Bengodi. E prepararono i bagagli.
Ora confrontate quelle parole con queste, pronunciate sempre da B. a La7, il 28 dicembre 2017: “Una volta i poveri del mondo non sapevano nulla di come si vive nei paesi del benessere e quindi non avevano spinte a spostarsi, lasciare la loro patria e venire qui. Adesso anche nelle più sperdute tribù dell’Africa esistono dei grandi schermi televisivi con delle batterie, anche senza corrente. E alla sera tutto il villaggio si raduna a vedere la televisione che illustra la nostra vita. Quand’ero in Congo a costruire un ospedale per bambini, ebbi l’invito da una di queste tribù e mi trovai in un villaggio senza luce ma con il grande schermo funzionante”.
Lì, aggiunge commosso, “un ragazzo di 20 anni, che aveva i piedi nudi e la stessa maglietta da cinque anni, mi disse: la nostra più grande aspirazione è venire da voi per cambiare la nostra vita e quella dei nostri figli”. Chissà se, su uno di quei tipici maxischermi da villaggio (turistico?), il giovanotto aveva visto e sentito B. promettere il paradiso in terra ai migranti africani come neppure la Boldrini al brindisi di Capodanno. Chissà se era informato del Trattato militare siglato nel 2008 dal novello dottor Schweitzer col regime di Gheddafi per riempirlo di armi, tecnologie e opere pubbliche in cambio della chiusura a ogni costo (stragi, repressioni e campi di concentramento nel deserto) dei flussi migratori dalle coste libiche. Chissà se sapeva che, due giorni dopo l’intervista alla tv tunisina, l’apostolo dei migranti aveva esaltato a Tripoli, accanto all’amico colonnello, i balsamici effetti dei respingimenti in mare. Ma soprattutto chissà che ne pensa di tutto ciò l’alleato di B. Matteo Salvini che, dopo gli orrendi fatti di Macerata, accusa una non meglio precisata “sinistra” di avere riempito l’Italia di clandestini, mentre l’unico ministro che a memoria d’uomo sia riuscito a ridurre gli sbarchi si chiama Minniti ed è, se non proprio di sinistra, almeno del Pd.
Ora B. annuncia l’immediato rimpatrio di “600 mila irregolari” (una cifra a caso, gli è venuta così). Strano, perché nel 2002 il suo governo, con i voti della Lega, approvò la più grande sanatoria di irregolari mai vista in Europa (694.224 domande accolte). Nel 2003 accettò senza fare un plissé il Regolamento Ue di Dublino che affibbiava in esclusiva l’accoglienza dei migranti ai paesi di primo sbarco, cioè all’Italia. Nel 2009, mentre B. invitava i migranti a venire a frotte, il suo governo, sempre coi voti della Lega, varò la seconda mega-sanatoria di irregolari (294.744) e il decreto Maroni col reato di immigrazione clandestina. Un’ideona che da nove anni intasa le Procure siciliane di decine di migliaia di fascicoli inutili su altrettanti fantasmi dall’identità, nazionalità e residenza imperscrutabili, punibili con multe di mille o 2 mila euro che mai nessuno pagherà. Inoltre, essendo tutti indagati (almeno i sopravvissuti), i migranti possono avvalersi della facoltà di non rispondere e di mentire, dunque le forze dell’ordine e i pm non possono più interrogarli come testi con l’obbligo di rispondere e dire la verità sui loro scafisti. Infine possono ricorrere contro i rimpatrii (già in larga parte teorici, o perché mancano gli accordi bilaterali con gli Stati di provenienza, o perché non si riesce a identificarli, o perché le questure e le prefetture non hanno soldi per i charter) fino al termine del processo, cioè per anni e anni, in attesa della Cassazione.
Nel 2011 finalmente B. si levò dalle palle, ma ci lasciò in eredità una bella guerra in Libia che moltiplicò gli annegamenti e gli sbarchi, per la gioia di Mafia Capitale e degli altri affaristi della cosiddetta accoglienza. Ora per fortuna non gli credono più nemmeno gli africani (tant’è che, appena arrivati in Italia, fanno di tutto per valicare le Alpi): mica sono italiani.