La Stampa, 6 febbraio 2018
Corea, dal boicottaggio al confronto: i Giochi della generazione zeta
Collegare i giovani alle Olimpiadi in un posto dove i ventenni sono connessi 24 ore su 24 dovrebbe essere un’operazione facile eppure Thomas Bach, capo del Cio e gran cerimoniere di questa edizione che mira al Nobel per la pace, la chiama «missione».
I Giochi vogliono la generazione zeta e sfruttano la storia per catturare i sentimenti: la prima Corea unita di chi è nato senza tregua, di chi è nato o di qua o di là e non si è mai incontrato. Al Nord non sanno nemmeno ancora se davvero vedranno le gare organizzate dai vicini di casa, a Kim Jong-un il concetto di broadcast non piace, le immagini non le controlla lui, ma in attesa del palinsesto c’è la curiosità. Dovevano essere Olimpiadi da boicottare, ora esistono e sono un tema di confronto.
A confronto
C’è un fotografo italiano che per anni ha lavorato proprio su questo concetto. Filippo Venturi ha catturato la meglio gioventù del Sud e ne ha fatto un ciclo chiamato «Made in Korea». Quando il progetto doveva essere finito si è spinto oltre, nella terra vietata, al Nord, costato mesi ad aspettare permessi e limitazioni di ogni genere. Però adesso i ragazzi di Seul possono guardare attraverso lo specchio deformante del 38° parallelo e capire se oltre la democrazia c’è qualcuno che somiglia a loro. «Il senso del dovere non è poi così diverso e sono entrambe generazioni schiacciate dalle aspettative», Venturi ha dato un nome anche alla seconda parte del reportage «Korean dream», «voleva essere il sogno dell’unificazione, anche se ora chissà chi la vuole davvero». Solo che per qualche giorno ci sarà comunque e quelle facce in cerca di approvazione diventano una mappa per misurare la distanza che ha segnato la strada, per vedere se il passato lascia nonostante tutto un’impronta.
«Se guardate certe ragazze in divisa a caccia della perfezione elaborata dallo Stato vedete lo stesso sguardo di chi ha la libertà, ma la soffoca per rispondere a uno stereotipo. Al Sud le donne si fanno la plastica alle scuole superiori per omologarsi a un’ideale di bellezza. Pure questa è una forma di propaganda».
Al Nord erano preparati agli scatti, «avevamo quattro guide al seguito e di fatto due controllori per girare solo in posti approvati, ci aspettavano e recitavano un copione», anche così qualche sprazzo di verità è uscito e non ci sono poi tutte queste differenze tra i ragazzi che affollano la piscina al Nord e quelli con i muscoli lucidati al Sud: «Non stavano a un concorso di body building, ma su una spiaggia di Busan».
Lusinga e-Games
Poi esce la distanza, come se quella traccia comune si sciogliesse e il regime chiedesse un tributo: «Ho provato a fare domande sul fratello del leader, nessuno sapeva, o diceva di sapere, dell’omicidio, del fatto che fosse sparito. Ho ritratto anche piccoli robot allenati all’imperturbabilità». Al Sud invece raccontano ogni mania, ogni dipendenza e si fanno travolgere dalle mille app e dalla criptomoneta, non a caso Bach li ha subito lusingati parlando degli e-Games: «Presto per considerarli sport ma stupido ignorarli».
Le istantanee di confine di Venturi mescolano le carte e disegnano i contorni di chi ha la stessa età, non ha condiviso nulla e ora è diventato «una missione». Il target di queste Olimpiadi. Che il potenziale audience sia nella terra coniugata al futuro o in quella dove il tempo non può passare. Li unisce la generazione e se questi Giochi la catturano su entrambi i fronti, il resto del mondo sarà uno scherzo.