Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2018
Guerre e sviluppo tra i minerali
La storia ambientale dell’attività mineraria è un campo di ricerca emergente che fornisce molteplici elementi di analisi e di giudizio sulle conseguenze sociali e per l’ecosistema di uno sfruttamento incondizionato e non regolato delle risorse del nostro pianeta. Come ci ricordano George Vrtis e John R. McNeill nell’Introduzione a questa storia collettanea dell’industria estrattiva in Nord America, un’automobile contiene almeno 39 elementi chimici di origine minerale che vanno dall’alluminio al tungsteno allo zinco. Computer e smartphone possono contenerne anche di più, includendo metalli preziosi e rari elementi terrestri quali l’europio e l’ittrio nei loro display. L’intero sistema industriale e produttivo, compresa la filiera alimentare, si fonda pesantemente sui minerali. Perciò l’attività estrattiva ha avuto e continua ad avere tanta importanza nel forgiare la società moderna.
Il libro, organizzato in tre sezioni tematiche che si sviluppano in una sequenza approssimativamente cronologica dalle trasformazioni capitalistiche ai catalizzatori industriali alla giustizia della salute e dell’ambiente, è costruito in una prospettiva continentale e comparativa illuminante per gli studiosi dell’environment.
Per quanto i colonizzatori spagnoli avessero iniziato a sviluppare l’attività mineraria a nord di Mexico City nel 1522 e gli indigeni avessero scavato il terreno alla ricerca di minerali per migliaia di anni, il salto di qualità che modificò quantitativamente e qualitativamente lo sfruttamento delle risorse di quelle terre fu compiuto soltanto con l’avvento della rivoluzione industriale. Le nuove prepotenti esigenze dell’organizzazione produttiva manifatturiera sconvolsero le relazioni fra le società nordamericane, i minerali e l’industria estrattiva, alterando definitivamente quelle collettività e il mondo naturale circostante. I minerali concorsero a rimodellare intere economie, sconvolgere modelli sociali e culturali, riorientare iniziative scientifiche e tecnologiche, ridistribuire il potere militare ed economico, modificare le geometrie del potere geo-politico e le relazioni internazionali, così come i fondamenti per la salute e le fortune di comunità locali e intere regioni.
L’impulso capitalistico condusse a incrementare investimenti, inputs energetici, progressi scientifici e tecnologici. Nelle regioni minerarie del Nord America, ogni successivo “regime” di mining si rivelava più produttivo del precedente. Il potere finì con l’essere via via più connesso con il controllo dell’industria estrattiva e dell’energia che generavano relazioni sociali, culturali, scientifiche e politiche profondamente intrecciate anche se, talvolta, torbide.
All’inizio del Novecento, nel sud del Colorado, una serie di esplosioni nelle miniere di carbone mostrò quanto fossero pericolose le condizioni ambientali e di lavoro sotterranee, ma anche le forti tensioni politiche, oltre che la solidarietà sociale, che si erano sviluppate da tempo in quei campi minerari. Le proteste seguite a quegli eventi gettarono i semi della cosiddetta “guerra del carbone” del 1913-14, il più sanguinoso sciopero della storia americana, terminato con la rivolta armata dei lavoratori e il massacro di decine di minatori e dei loro famigliari da parte della guardia privata della Colorado Fuel and Iron, di proprietà dei Rockefeller, sotto lo sguardo complice della Guardia civile.
Ma fu guerra anche fra ranchers e minatori -come avvenne in Montana con l’Anaconda Copper Mining Company- in uno scontro di potere basato su armenti, rame, zolfo e arsenico. Finché il potere economico dei minerali ridusse quello delle mandrie e, con esse, il ruolo sociale dei ranchers.
Queste complesse dinamiche sociali sono specialmente evidenti in una delle industrie estrattive fra le più insidiose e pericolose: quella dell’uranio. Una volta che i policymakers americani, durante la Seconda guerra mondiale, individuarono l’uranio come prioritario per la sicurezza nazionale e la politica di potenza degli Usa, l’establishment scelse di minimizzare o negare i rischi ambientali e per la salute derivanti dalla sua estrazione. Dagli anni 40 ai 70, lo zelo di tecnocrati e politici nel promuovere l’energia atomica espose alle radiazioni migliaia di lavoratori dell’industria dell’uranio, nonché le città cresciute con il boom di quelle lavorazioni. A esserne colpiti furono, innanzitutto, i Nativi Americani. Molti di loro lavoravano nelle miniere del Colorado Plateau e nelle terre fra New Messico, Arizona e Utah. Finché, con l’approvazione dell’Uranium Mill Tailings Radiation Control Act, nel 1978, il governo federale introdusse norme più stringenti sul trattamento di questo metallo.
La Guerra Fredda legittimò squilibri sociali e negligenze ambientali anche in Canada. Norme e controlli furono persino più laschi che negli Stati Uniti. Nel Nord-Ovest, dal 1938 al 2004, tre miniere d’oro produssero, insieme a milioni di once del prezioso metallo, centinaia di migliaia di tonnellate di polveri di triossido di arsenico tuttora sepolte sotto una miniera della regione.
Talvolta furono le comunità stesse, come avvenne in Quebec ad Asbestos, un nome un destino, a sfidare quanto noto a livello scientifico internazionale sui pericoli e la tossicità dell’amianto, sviluppando una peculiare comprensione locale dei rischi, dei cambiamenti ambientali nonché del collasso di quella produzione.
Intanto, nell’opinione pubblica americana cominciava ad attecchire e diffondersi la consapevolezza che le questioni ambientali costituissero anche questioni di equità e di giustizia sociale; che il perseguimento di obiettivi nazionali di grande potenza non potesse prescindere dalla tutela della salute umana e dalla salvaguardia dell’ambiente.
Ma, con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, la contrapposizione fra ambientalisti e “negazionisti” ha mostrato di essere anche un’impietosa contesa fra regioni costiere ricche e comunità del Rust Belt impoverite, come nel bacino carbonifero dell’Ohio. Forse nessun altro minerale nella storia del mondo ha incarnato l’essenza del potere più del petrolio. La sua storia è nella profonda interazione fra forze globali e locali, geopolitica e capitali internazionali, Paesi produttori e quelli consumatori. Eppure, anche il recente, ambizioso piano dell’amministrazione Trump per liberalizzare le ricerche petrolifere al largo delle coste degli Stati Uniti ha iniziato presto a ridimensionarsi di fronte alle richieste di eccezionalità sollevate da alcuni stati, come la Florida, che capitalizzano sull’ambiente e investono sul turismo dei più benestanti.
George Vrtis e John R. McNeill (curatori), Mining North America. An Environmental History since 1522, Oakland, University of California Press, pagg. 456, paperback $34,95, hardcover $ 80