Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2018
Rugby, la carica dei 30mila «minirugbisti»
Circa 30mila bambini (e bambine) tesserati dai cinque ai 12 anni di età. E anche senza considerare chi svolge l’attività solo a livello scolastico, più di 25mila minirugbisti che, domenica dopo domenica, affollano i campi di tutta Italia dove si svolgono tornei tra squadre divise per categorie di età, ma senza distinzione di sesso. È di questo giacimento che parla Daniele Pacini, responsabile tecnico per il rugby di base della Fir. Ed è da qui, da numeri in crescita e da una mentalità cambiata, che si può far partire una lunga rincorsa per cercare di ridurre il gap con i movimenti all’avanguardia in campo europeo.
«Indubbiamente – dice Pacini – la situazione si è evoluta: i genitori risultano meno preoccupati dall’immagine del rugby come sport “duro” e sono più propensi a consigliarlo ai loro figli. Sono soprattutto papà e mamme giovani, quelli che erano adolescenti quando nel 2000 l’Italia è entrata nel Sei Nazioni, ad apprezzare il minirugby come disciplina formativa, valoriale e anche inclusiva nei confronti di ragazzi con qualche problema. Detto questo, la spinta più forte ai fini del reclutamento sarebbe quella derivante da una Nazionale vincente. A questo proposito resta significativo il boom di tesserati successivo al Sei Nazioni 2007, quando l’Italia vinse due partite consecutive, che fece registrare il picco storico di ascolti televisivi».
A contare è anche la diffusione del rugby giovanile su ormai (quasi) tutto il territorio nazionale. Province dove la palla ovale era sconosciuta hanno ora una o più realtà attive e le società sono in tutto circa 600. Spesso l’offerta di rugby è andata a colmare una lacuna, a soddisfare una domanda potenzialmente già presente. Prima si comincia e meglio è, per acquisire in profondità le “competenze” tecniche di base.
«Si punta sulle famiglie che, a fronte delle limitate possibilità di fare attività motoria concesse ai bambini di oggi, sono disposte a mettere in conto qualche sacrificio. Le società mettono in campo i loro educatori e non lo possono fare gratis. Quasi sempre le quote di iscrizione, che arrivano al massimo a 500 euro all’anno, sono l’unica risorsa per i club».
Un nuovo progetto di formazione degli allenatori punta a consentire una specializzazione anche per il minirugby, dando la possibilità di continuare ad approfondire costantemente le proprie competenze sempre con riferimento alla stessa fascia di età. «Un altro passo – conclude Pacini – consiste nell’incoraggiare le società a cercare gli educatori anche tra i laureati in Scienze motorie come in altre discipline di carattere sociale. Per essere adeguati servono nozioni in campo pedagogico e la capacità di relazionarsi con i bambini».