Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2018
Effetto algoritmi, le Borse rischiano il contropiede
Ai superstiziosi non sarà sfuggito che venerdì l’indice Dow Jones della Borsa di New York ha perso esattamente 666 punti. Se ne è accorto persino Stephen King, che su Twitter ha sottolineato questa «mefistofelica» curiosità. Coincidenza vuole che anche il grande rally della Borsa americana fosse partito, nel lontano marzo del 2009, quando l’indice S&P 500 toccò il minimo esattamente a 666 punti. Se si tratti di un messaggio, di una strana coincidenza o solo di materia per scaramantici è difficile a dirsi. Ma una cosa è sicura: se davvero dovesse cambiare il vento sui mercati finanziari, facendo partire un trend ribassista, gli investitori globali potrebbero essere in gran parte presi in contropiede. Perché in questo momento tutti sono super-esposti sui mercati azionari. Come una squadra di calcio interamente disposta in attacco.
Gli hedge funds hanno in Borsa il 49% dei loro portafogli, secondo BofA Merrill Lynch. Record dal 2006. Le famiglie americane hanno messo a Wall Street la percentuale di risparmi più elevata dal 2000: il 36,6%. Gli investitori istituzionali di lungo termine, secondo un indicatore riservato, nel terzo trimestre 2017 hanno portato l’esposizione sui mercati azionari al record dal 2003, ritracciando un po’ nel 2018. I flussi sugli Etf azionari, secondo i dati di Epfr Global, hanno raggiunto il record dei 100 miliardi di dollari a gennaio. E persino i fondi sovrani, tradizionalmente poco avvezzi ai rischi, secondo i dati di Swf Institute hanno aumentato la presenza sui mercati azionari. Il problema è che se lo «storytelling» che ha indotto tutti in massa a sovraesporsi sulle Borse dovesse cambiare, l’entusiasmo potrebbe facilmente tramutarsi nell’esatto opposto. Tra giovedì e venerdì ne abbiamo avuto un assaggio. Per ora si tratta solo di un inciampo di Borse sui massimi storici. Ma il messaggio lanciato dai mercati non può essere sottovalutato.
La grande infatuazione
I motivi per cui tutti sono così esposti sulle Borse mondiali sono vari. A giustificare l’acquisto di azioni c’è innanzitutto la crescita economica globale: nel 2018 solo 6 Paesi su 206 sono previsti in recessione, record da almeno 20 anni. Questo sta pompando gli utili aziendali. Secondo i calcoli di Matteo Ramenghi, cio di Ubs Wealth Management Italia, a livello mondiale nel 2017 i profitti cresceranno del 15% e nel 2018 del 12%: in entrambi i casi si tratta di aumenti visti raramente in passato. «La media storica – osserva Monica Defend, head of strategy di Amundi – è del 7%. Questo giustifica i rialzi delle azioni ma solo se queste stime saranno confermate dai fatti». In ogni caso oggi questo scenario di crescita spinge gli investitori a spostarsi sui mercati azionari alla ricerca di fortuna. Anche perché l’inflazione prevista bassa ha convinto tutti che le banche centrali non ritireranno gli stimoli monetari in maniera aggressiva.
C’è poi un secondo motivo: il fatto che i mercati obbligazionari sono entrati in una fase di estrema debolezza. Questo sta trascinando gli investitori fuori dai bond e dentro le azioni. Anche solo per mancanza di alternative. Anche solo per non perdere il “treno” delle Borse.
C’è infine una terza motivazione che sta sovraesponendo tutti sui mercati azionari: la tecnologia. La maggior parte degli algoritmi usati dagli hedge fund utilizza la volatilità come parametro per misurare i rischi: ora che la volatilità è molto bassa (almeno lo era fino a pochi giorni fa), i computer aumentano l’esposizione dei fondi sulle Borse perché sono percepite poco rischiose.
Nel mondo, calcola Alberto Gallo di Algebris, gli hedge fund che basano la propria strategia sulla volatilità gestiscono attivi per un totale di 2mila miliardi di dollari. Ma il numero di investitori influenzati da questo unico parametro è ben più elevato: «Lo stesso meccanismo tende a sovraesporre anche i fondi che non usano algoritmi, incluse le gestioni patrimoniali, ma che adottano il Var come parametro di rischio», osserva un gestore. Questo crea un gigantesco effetto-gregge tecnologico. Il cui impatto è reso ancora più dirompente dalla leva (cioè dal fenomeno di investitori che si indebitano per comprare azioni), che ha ormai raggiunto i massimi storici. È così che si sono moltiplicati i rialzi per molti mesi. È così che potrebbero ora moltiplicarsi i ribassi.
Effetto gregge
Le Borse ci hanno dato un assaggio in questi ultimi giorni. La prima a inciampare è stata quella di Francoforte giovedì. Le rivendicazioni salariali del sindacato IG Metall fanno infatti temere agli investitori che in Germania potrebbero salire i salari e dunque l’inflazione. Quella che sarebbe una grande notizia per i lavoratori, è dunque una pessima novità per i mercati: se salisse l’inflazione, la Bce sarebbe costretta a ridurre gli stimoli monetari più in fretta del previsto. Questo ha dato una certa debolezza a Francoforte giovedì pomeriggio. Ma nulla di eclatante. Il problema è nato quando l’indice Dax è sceso fino a toccare una soglia tecnica. Apriti cielo: questo ha spinto gli algoritmi (che ormai producono il 66% degli scambi sulle Borse) a vendere indiscriminatamente panieri di azioni tedesche. Morale: nel giro di circa mezz’ora la Borsa di Francoforte è passata da positiva a negativa di oltre l’1%.
Venerdì è stato invece il dato sui salari americani (anche quelli cresciuti oltre le attese) a creare lo stesso effetto domino umano-algoritmico a Wall Street.
Questo è il problema: in un mercato così tecnologico, dove sono i trader algoritmici a dominare gli scambi, qualunque pretesto può potenzialmente far scattare meccanismi di vendita (o di acquisto) automatici.
Di solito gli stessi meccanismi poi vanno a ricomprare appena le valutazioni scendono, ma se il ribasso dovesse perdurare andando a sfondare sempre più soglie tecniche, aumentando la volatilità e facendo scattare i reintegri dei margini (margin call) per chi si è indebitato per comprare azioni, allora il ribasso rischia di moltiplicarsi come una valanga. Non sono ovviamente gli algoritmi a far partire le vendite: serve un motivo reale. Ma loro le amplificano. Soprattutto se ci si mette in mezzo anche uno “zampino” inquietante che fa scendere Wall Street di 666 punti.