il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2018
Donne contro, Miriana Trevisan: Hanno avuto paura di non lavorare più
Il giorno dopo la pubblicazione del manifesto “Dissenso comune”, sottoscritto da oltre 120 donne tra attrici, registe e lavoratrici dello spettacolo, si contano le aggiunte (Stefania Sandrelli) e le escluse, coloro che non hanno voluto firmare o che non sono rientrate nel gruppo che ha redatto l’appello. L’assenza di Asia Argento – che ieri dalle colonne di questo giornale ha accusato le colleghe di “lavarsi la coscienza dopo mesi di assordante silenzio” – ha provocato una prima defezione: l’attrice e scrittrice Francesca D’Aloja, che ha espresso su Twitter il suo ‘dissenso’ e ha ritirato la firma. E proprio sui social ieri ha tenuto banco la polemica sull’efficacia di un manifesto che non contiene neanche un nome. Il “Fatto” ha provato a cercare molte delle firmatarie, trovando la disponibilità a rispondere della sola Sabrina Impacciatore. Ad Asia Argento si è però unita Miriana Trevisan, l’altro nome che manca all’appello.
“Mi sembra un condono: vi controlliamo ma non facciamo niente, state tranquilli”. Tra le donne che non hanno voluto firmare il manifesto “Dissenso comune”, oltre ad Asia Argento – che ieri sul Fatto ha accusato le colleghe di volersi lavare la coscienza dopo mesi di silenzio – c’è anche Miriana Trevisan. Anche lei mesi fa ha avuto il coraggio di denunciare un presunto caso di molestia, anche lei è stata quasi del tutto lasciata sola.
Secondo Asia Argento lei sarebbe stata contattata dal gruppo di colleghe solo pochi giorni fa. È così?
Asia mi aveva raccontato che qualcosa si stava muovendo. Una quindicina di giorni fa, vado a memoria, sono stata coinvolta da Jasmine Trinca attraverso una conoscenza comune.
Ha partecipato ai loro incontri?
No. So che all’inizio erano un piccolo gruppo, una ventina di donne. Si sono viste, hanno studiato. Una volta si stava organizzando un incontro ed ero pronta ad andare, poi all’ultimo è saltato.
Sempre Asia Argento ci ha raccontato di aver provato a farla inserire nella chat del gruppo. Invano.
È vero. L’ho trovata una cosa poco carina. Ma non capisco: sono una donna, dicono di aver subito anche loro quello che abbiamo subito noi. Quindi cosa ho di diverso, se non un dolore? E un dolore per il ‘sistema’, proprio come lo chiamano nel manifesto.
Cosa è successo dopo?
Mi hanno mandato la prima versione, sono rimasta scioccata. Ho cercato – attraverso la persona che mi faceva da tramite con Jasmine – di far inserire alcune modifiche, perché non ero d’accordo. Anzi, ho cercato di mandarle in chat e mi è stato risposto che ci avrebbero pensato loro. Jasmine mi ha anche detto: ‘Lascia perdere questa chat’. Abbiamo parlato al telefono per un’oretta, si è anche ipotizzato un altro incontro, ‘perché noi vogliamo ascoltarvi, siamo dalla vostra parte’. Ha manifestato un’apertura sincera, ma insisteva sul fatto che non è stato facile metterle tutte d’accordo.
Lei ha chiesto che venissero fatti nomi e cognomi?
Certo. Mi è stato risposto che quest’appello è soltanto un primo passo. Però c’è stata un’ammissione: la paura.
Si spieghi meglio.
Si ha paura di non lavorare più in quel ‘sistema’. E io questa cosa la capisco. Ma non sarebbe più onesto dire la verità, ‘non facciamo i nomi perché abbiamo paura’? Forse qualcuno, là fuori, avrebbe apprezzato l’onestà.
Invece hanno scritto di non voler puntare il dito contro nessuno.
È una presa di posizione troppo timida. La questione è proprio questa: che messaggio diamo alle nostre figlie? Io non ho firmato perché, invece, bisogna insegnare a puntare il dito ogni volta, sul nascere di una violenza, creare un diritto senza avere paura.
Eppure per l’appello si è parlato di atto politico.
Non ho mai visto un atto politico più generalizzato di questo.
Al tempo della sua denuncia, le era stata manifestata solidarietà?
Da parte di altre vittime, sì, moltissime. Due o tre colleghe del mondo della televisione mi hanno scritto in privato: ‘Hai ragione, mi è successa la stessa cosa, ma non la racconto perché altrimenti non lavoro più’.
Solo due o tre?
Si vede che il nostro è un ambiente candido… (ride)
A questo appello hanno aderito ben 124 donne, e forse altre se ne aggiungeranno. Si sente meno sola?
Hanno scritto ‘non abbiamo più paura, siamo unite’. Ma che significa, quando poi abbassano lo sguardo e non hanno la forza di fissare negli occhi la realtà? Il passato ci insegna che non è così che si affrontano le cose. Anzi, così finisce tutto nel vuoto. Questo manifesto mi sembra un condono: è come dire ‘state tranquilli, non vi facciamo niente, vi controlliamo solo’. Intanto questi personaggi sono ancora liberi di fare del male. Allora voglio rilanciare: vogliamo essere unite? Io ci sto, ma guardatemi negli occhi. Lasciamo perdere le chat: voglio piangere insieme a ognuna di voi.