il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2018
Hare Krishna senza pace “Discriminati dai politici”
Da sette anni lavorano affinché il movimento Hare Krishna diventi un ente di culto riconosciuto come le altre religioni. Da tre anni il Consiglio di Stato ha dato il suo parere favorevole, ma da allora i fedeli italiani non hanno avuto risposte dal governo.
Sebbene l’Associazione internazionale per la coscienza di Krishna sia stata fondata a New York nel 1966 e sia arrivata in Italia negli anni Settanta, diffondendosi tra gli hippies, questo culto viene dall’Oriente. Nasce dal visnuismo, ramo monoteista dell’induismo, “la dottrina più antica del mondo e la più diffusa in India”, spiega Parabhakti, all’anagrafe Mauro Bompieri, che si è convertito all’età di 16 anni nel 1978 e ora guida Villa Vrindavana, un grande tempio a San Casciano in Val di Pesa (Firenze).
“Agli inizi eravamo i famosi ‘arancioni’ che ballavano per le strade e facevano molto rumore. Ora siamo invecchiati”, ricorda Prabhu Das, al secolo Pietro Giarola, responsabile del centro di Torino. Lui si è unito al movimento nel 1981 dopo un viaggio in India. Passati gli anni del riflusso alcuni hanno lasciato il movimento, altri hanno abbandonato le vesti giallo zafferano, colore simbolo della rinuncia, per il bianco, tipico dei padri di famiglia. Altri, invece, hanno smesso di rasarsi la testa lasciando solo un codino, hanno indossato abiti occidentali e lavorano “nel mondo”: “Ci sono lavoratori e professionisti di ogni tipo”, dice Parabhakti. Sono “grihastha” (persone che si occupano della famiglia) e cercano di coniugare questa vita con la ricerca spirituale.
Con l’arrivo dei migranti indiani e bengalesi oggi sono quasi 30 mila in Italia i fedeli e i simpatizzanti del movimento Hare Krishna e trecento i monaci. Hanno tre templi principali (Albettone nel Vicentino, Chignolo d’Isola nella Bergamasca e appunto San Casciano in Toscana) e tanti centri sparsi in Italia. I seguaci credono in Krishna come unico dio e credono nella reincarnazione. La loro vita è fatta di meditazione e di rinunce. E sono vegetariani: “Quando lo sono diventato eravamo in tre, ora siamo il 10 per cento della popolazione”, afferma Prabhu Das, che con i volontari del centro torinese ogni lunedì distribuisce ai senza tetto 150 pasti privi di uova, carne e pesce.
“Essere riconosciuti come ente di culto ci permetterebbe di dare conforto a chi è in ospedale o in carcere”, dice lui. Poi ci sono anche altre agevolazioni, burocratiche e fiscali, come l’8 per mille: “Viviamo di contributi – raccontano Parabhakti –. Nel periodo della dichiarazione dei redditi alcuni fedeli chiedono perché non possono destinare l’8 per mille a noi”.
Tutto poteva essere risolto prima se il governo avesse concluso la pratica, ma anche l’ultima legislatura si è chiusa senza che gli Hare Krishna ottenessero l’auspicato riconoscimento. Inutili le interpellanze parlamentari e l’intervento del primo ministro indiano Narendra Modi durante la visita di Paolo Gentiloni in India il 30 ottobre. “La viviamo come una discriminazione – conclude Parabhakti –. Qualcuno vuole che tutto rimanga così”.