il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2018
Bondi e le rovine di Arcore: “Mi vergogno di essere stato lì”
“Penso a mio padre, alla sua forza, alla sua integrità e provo vergogna per quello che ho fatto”.
Come pietra rotolata dal costone di roccia, Sandro Bondi è steso a terra immobile, il suo corpo è cippo di confine, monumento ai caduti del berlusconismo di cui è la vittima più illustre per i meriti conquistati sul campo e poi vomitati come ostaggio della più efferata purga. Oggi vive riparato a Novi Ligure, nella piana alessandrina appena dietro Genova, insieme alla sua compagna di vita e di ventura, Manuela Repetti, anch’ella senatrice uscente, pure lei prima fervente forzista e poi anti e, come lui, non ricandidata.
Classe 1959, Bondi, per chi non lo sapesse, per gli italiani nasce il 13 maggio 2001, durante il periodo vitale, per certi versi eccentrico e politicamente violento del berlusconismo. Giunge infatti in Parlamento dopo un quinquennio di praticantato ad Arcore, dove si trasferì per via della devozione al Santo e dove obbligò la sua prima famiglia a risiedere (“un orrido appartamento”, ricorderà l’ex moglie”). È il periodo in cui Bondi viene destinato alla corrispondenza prima solo privata (leggere e rispondere alle ammiratrici) poi anche politica e pubblica. Una sorta di Donna Letizia berlusconiana ma molto più enfatica. Illustra il mondo nuovo che progredisce tra i prati di Arcore, grazie al divino Silvio, e i giorni splendenti e le notti magiche. “Berlusconi è candore, è purezza”, ha avuto il coraggio di dire. Ha scritto anche altro: “La sua politica del fare è una politica donna. La logica maschile del potere viene sostituita da quella femminile del dono, della comprensione, dell’amore”. Sedici anni dopo da quel 2001, a dicembre scorso, Bondi torna cenere. Imploso nel viaggio celeste, restituito alla terra solo per essere seme o lacrima di dolore. È stato invece tutto per Berlusconi. Cantore, candelabro, portavoce, portaordini, amanuense, consigliere, poeta, ministro, adoratore, coordinatore, amministratore, tesoriere.
“Sa perché ero così eccessivo? Pensavo che mi volesse bene, ed era questo il mio modo per riconoscergli l’affetto e dunque restituirlo. Berlusconi per me copriva la figura di un padre, di un uomo che guida la tua strada, e lo fa non solo per te ma intende illuminare la via a tutto il Paese”. Invece la tragedia, l’afflizione per quel che lui, oggi ex devoto, ha combinato da consigliere, da poeta, da figlio politico: “Sono stato un cortigiano, ecco la parola esatta. Quando ho avuto il potere l’ho esercitato nel modo che oggi dico peggiore, fidandomi di un convincimento: lui è una persona perbene. Non dovevo farlo”. A Dario Cresto Dina di Repubblica spiegò chi in realtà fosse Berlusconi: “È il conte Ugolino che nella Divina Commedia divora il cranio dei suoi figli. E questo riferimento culturale è in fondo lusinghiero perché lo sguardo di Ugolino verso i figli è di disperazione, mentre quello di Berlusconi è quasi di sadismo. In realtà sono giunto alla conclusione che non vi è alcuna grandezza tragica in lui”.
“È candore”, scriveva Bondi del suo Ugolino. “A Silvio. Vita splendente”. Poesia. Trascinato ad Arcore dallo scultore Pietro Cascella che aveva avuto incarico dal tycoon della Brianza di preparare il mausoleo perché il suo corpo fosse registrato nell’Olimpo, che Bondi, qualche tempo dopo, descrisse così: “Una delle più grandi opere monumentali degli ultimi decenni, con il cerchio della vita e il bassorilievo delle offerte votive”. Lui, proprio lui, il comunista di Fivizzano, sindaco del suo paese, figlio di uno spaccapietre emigrato in Svizzera per dar da mangiare alla famiglia. “Ha capito perché provo vergogna? Se penso a mio padre, a quel che intendeva lui della vita, del rigore, dell’integrità che ciascuno deve custodire. Della dignità che invece suo figlio non ha avuto. Se raccolgo i ricordi mi ritrovo immerso a fare l’esegeta cieco. Sono addolorato perché non dovevo essere lì. E oggi mi addolora ugualmente parlarne. Alla politica ho detto basta anche se fino all’ultimo ho cercato di consigliare e ai miei ex compagni ho caldamente, per esempio, invitato a votare Sergio Mattarella per il Quirinale. Io conosco ogni cosa di quel mondo e patisco il tentativo di sfregiare me. Anche oggi vede? Il giornale di famiglia mi ha attacca mentre lì abbondano voltagabbana di ogni risma. Ma non ho voglia e non ho tempo, ho perso curiosità e interesse per la politica. Mi annoia, lo dico sinceramente, alcune volte non riesco a reggere la televisione, i talk. No, vorrei essere dimenticato. È tutto finito”.