il Giornale, 3 febbraio 2018
Trovati coltelli e mannaia del nigeriano fermato. «Candeggina per ripulire»
Una fitta nebbia avvolge la morte di Pamela Mastropietro. Domande a cui i carabinieri di Macerata tentano di dare risposte in tempi rapidi, per dar pace alla famiglia, per dare spiegazioni a un’opinione pubblica sempre più inorridita dai dettagli di questo efferato delitto e perché la diciottenne, caduta nel baratro della droga, poteva essere la figlia di ciascuno di noi.
Gli investigatori ieri hanno sequestrato una mannaia e alcuni coltelli sporchi di sangue nell’appartamento di via Spalato 124, dove Innocent Oseghale viveva e dove avrebbe ucciso Pamela. Le armi potrebbero essere quelle usate dal nigeriano per fare a pezzi il cadavere della ragazza, che il 29 aprile si era allontanata volontariamente dalla comunità di recupero «Pars» di Corridonia e martedì mattina è stata vista per l’ultima viva, mentre usciva in compagnia dello straniero, da una farmacia dove aveva comprato una siringa. Il materiale sequestrato sarà ora sottoposto ad accertamenti tecnici e di laboratorio per capire se sia stato usato sul corpo della vittima. Smentita, invece, ufficialmente dal colonnello dei carabinieri di Macerata, Michele Roberti, la notizia circolata nei giorni scorsi in base alla quale alla vittima sarebbero stati strappati cuore e viscere per compiere riti voodoo.
Oseghale è chiamato a rispondere non solo di omicidio volontario e occultamento di cadavere, ma anche di vilipendio. Interrogato davanti al magistrato il ventinovenne, che da oltre un anno viveva in Italia con permesso di soggiorno scaduto, ha detto di aver incontrato Pamela nei giardini Diaz e di averle indicato uno spacciatore di eroina. Ha anche confermato di averla accompagnata in farmacia e poi ospitata a casa sua, in via Spalato, dove però la ragazza si sarebbe sentita male. Ma ha negato di averla fatta a pezzi, puntando il dito contro l’altro spacciatore. Ma i sospetti dell’Arma sono concentrati per ora esclusivamente su di lui, anche se ieri in caserma è stato nuovamente ascoltato il tassista camerunense, testimone chiave dell’inchiesta, lo stesso che ha riferito di aver portato Oseghale la sera del 20 gennaio a Pollenza, dove sono stati trovati i trolley con i resti di Pamela. «Un delitto che neanche la più feroce delle bestie avrebbe potuto compiere – ha detto l’avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia – A ridurre un corpo umano in quelle condizioni credo non sarebbe riuscito neanche il leone più affamato della terra».
Le prossime ore saranno quelle decisive, perché non sono ancora chiare le cause della morte della diciottenne e sembra verosimile che questa sia sopraggiunta per overdose. In questo caso Pamela sarebbe stata smembrata quando già era senza vita da Oseghale, ora rinchiuso nel carcere di Montacuto, ad Ancona, in attesa della convalida degli arresti che dovrebbe arrivare già oggi. L’assassino, dopo aver sezionato la ragazza e averla riposta nei due trolley per disfarsi più rapidamente del cadavere, si è anche lavato le mani con la candeggina, sperando di allontanare da sé le prove dell’orrore.
Ieri la mamma della vittima è tornata a chiedere nuovamente giustizia, mentre oggi la comunità nigeriana di Macerata parteciperà a un sit-in in piazza Cesare Battisti per ribadire il «no» alla violenza ed esprimere vicinanza alla famiglia di Pamela.