il Giornale, 3 febbraio 2018
Morte tragica dei «figli di». Suicida Fidelito Castro. «Ossessionato dal padre»
Non ce l’ha fatta a sopravvivere a lungo alla morte di quel padre dittatore che gli aveva sempre condizionato la vita e, adesso che non c’era più, paradossalmente gli mancava «la causa vivente» delle sue frustrazioni. O forse ha deciso di farla finita perché lo uccideva ogni giorno un po’ vedere il contrasto tra la povertà del popolo cubano e le sue proprietà nel Mediterraneo, yacht inclusi su cui trascorreva lussuose estati europee. Di certo c’è che Fidelito come tutti all’Avana chiamavano Fidel Ángel Castro Diaz-Balart – il primogenito dei sei figli maschi riconosciuti da Fidel Castro – è stato innanzitutto la vittima di un padre padrone e, dopo mesi passati a rodersi non ha retto al peso della depressione uccidendosi all’alba di giovedì scorso.
Un colpo in testa secondo alcuni, gettandosi dalla finestra della struttura dove era in cura per altri, senza che nessun infermiere o medico riuscisse a bloccarlo nel suo gesto estremo. Al di là della dinamica della morte di Fidelito – circola anche una terza ipotesi, ovvero che sia stato suicidato come tante altre vittime del cosiddetto «Castrointeritismo fulminante» di certo c’è che la dipartita del primogenito maschio di Fidel arriva a meno di 45 giorni dal passaggio di consegne di Raúl, ovvero dalla prima volta in quasi 60 anni che l’isola caraibica non sarà più governata da qualcuno col cognome Castro. Altrettanto sicuro è che tutti i media statali cubani, dopo avere dato l’annuncio, hanno fatto come se nulla fosse accaduto, tenendo la notizia «bassissima».
Nato il 1° settembre del 1949 dal primo matrimonio dell’ex dittatore con Mirtha Diaz-Balart, Fidel Ángel visse con la madre tra Madrid e l’America sino a 10 anni, poi passò sotto la tutela di Fidel e, da allora, a controllare la sua vita fu suo padre. Studi a Mosca, nell’ex Urss, dove Fidelito – che si era intanto guadagnato il soprannome per la gran somiglianza col progenitore – aveva imparato alla perfezione il russo, si era innamorato e, soprattutto, si era laureato con lode in fisica nucleare.
Era una mente Fidelito, come sua sorella Alina del resto che, tuttavia, aveva avuto il coraggio di rinnegare il genitore psicopatico per fuggire negli Stati Uniti, dov’era diventata attivista dei diritti umani. Come fece anche Juanita, una sorella di Fidel. Fosse dipeso da lui sarebbe rimasto nell’ex Urss, ma Fidel lo richiamò in patria per guidare la ricerca cubana sull’atomo. Siamo nel 1980 e sotto la sua guida è costruita la prima centrale nucleare cubana nella provincia di Cienfuegos che, però, non produce energia per il crollo dell’impero sovietico che doveva rifornirla di tecnologia ad hoc. Siamo nel 1992 e invece di essere padre Fidel scarica il primogenito, umiliandolo pubblicamente e facendolo chiamare da Granma, il suo giornale, «inefficiente» e «inetto». Il dittatore «spegne» il figlio sino al 1999 e quello che era un eccellente fisico nucleare comincia a morire allora. Poi grazie alla mediazione del più umano zio Raúl, Fidelito torna da consulente scientifico e come vicepresidente dell’Accademia delle scienze di Cuba, ma è un cerotto su ferite ormai in cancrena. Il treno sovietico è passato, quello statunitense preso da Alina e zia Juanita anche e, ora che da fine 2016 non c’è neanche più il despota padre come giustificazione di una vita non vissuta, come arrivare a 70 anni senza pensare al suicidio, soprattutto quando guardandoti allo specchio ci vedi riflessa l’immagine di chi più odi?
Che i figli dei dittatori finiscano male non è una novità. Basti pensare ai 4 figli di Gheddafi massacrati nella primavera del 2011; a Uday e Qusay Hussein, feroci figli di Saddam uccisi dagli americani nel 2003. O a Nicu Ceausescu, figlio del conducator romeno Nicolae, morto di cirrosi in un ospedale di Vienna nel 1996 dopo una vita fatta di soprusi e violenze sul suo popolo durante la feroce dittatura del padre. O a Svetlana Stalin, prima sposa di un ebreo mandato in Siberia dal genitore e poi vittima del mondo di terrore costruito dal padre, che riuscì a fuggire – via Roma – negli Usa. Più fortunata di suo fratello Jakov, morto in un lager nazista dove era prigioniero di guerra. Suicida, come Fidelito.