la Repubblica, 4 febbraio 2018
«Anche le piante si addormentano». Intervista a Stefano Mancuso
ROMA Anche le piante, nel loro piccolo, si addormentano» suggerisce Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze. «O per meglio dire anche le piante possono essere anestetizzate, proprio come uomini e animali.
Lo abbiamo scoperto con uno studio che getta una nuova luce non solo sulle analogie tra noi e le piante, ma anche su quale sia il meccanismo di azione dell’anestesia umana». Lo studio che Mancuso e colleghi hanno pubblicato su Annals of Botany, celebrato anche dal New York Times, mostra come l’esposizione per un’ora ad anestetici come l’etere dietilico, la lidocaina e il gas xenon possa rendere “incoscienti” a lungo piante note per la loro rapidità di movimento, per esempio le micidiali carnivore Dionaea muscipula, o Venere acchiappamosche, e Drosera capensis, dalle foglie avvolgenti come tentacoli, e la più timida, ma altrettanto svelta, Mimosa pudica, che si ritrae quando sfiorata.
Perché l’anestetico ha effetto sulle piante?
«In piante fulminee come la Dionaea, nel momento in cui un insetto si posa nella “trappola” si formano degli impulsi, detti “potenziali d’azione” e del tutto analoghi ai nostri impulsi nervosi, che portano allo scatto delle fauci. Abbiamo visto che l’anestetico disattiva tutti questi segnali, e ostacola il traffico di molecole tra le cellule, compreso l’analogo vegetale dei nostri neurotrasmettitori. Così le piante non percepiscono più l’ambiente esterno, proprio come un uomo sotto anestesia».
Cosa implica questa somiglianza?
«Che le piante sono più coscienti di quanto si sospetti. Uno dei modi in cui si definisce la coscienza è “quella cosa che l’uomo ha sempre, tranne in quei momenti in cui dorme un sonno profondo o è sotto anestesia”. Che le piante si possano anestetizzare l’abbiamo appena dimostrato.
Ora stiamo approfondendo insieme al gruppo americano di Giulio Tononi, massimo esperto di sonno: se dovessimo scoprire che anche le piante dormono, avremmo un modello tutto nuovo, su cui iniziare a studiare in una maniera più strettamente biologica – e meno filosofica – che cos’è la coscienza. Che per me è una caratteristica anche delle piante».
Come mai sono quasi tutti convinti del contrario?
«Che le piante siano degli esseri inferiori è un’idea completamente sbagliata. Ci sfuggono la complessità e le sofisticate strategie delle piante soltanto perché misuriamo il grado di evoluzione di un essere in funzione di quanto ci assomigli. Per capire se un essere “vede”, controlliamo se ha degli occhi. Se non li troviamo, pensiamo che non veda. E le piante sono così diverse da noi, per esempio non hanno organi. Ma non significa che non abbiamo le funzioni che quegli organi assolvono negli animali. Per loro gli organi sarebbero un punto debole: una pianta con due polmoni o un cervello, sarebbe uccisa dal primo bruco che li morde. Le piante hanno distribuito sull’intero corpo le funzioni che noi concentriamo negli organi.
Non capendolo, le sottovalutiamo».
Ci fa qualche esempio delle capacità cognitive delle piante?
«La mimosa pudica, se sottoposta a uno stimolo fisico innocuo, dopo 4-5 volte “impara” che non è il caso di richiudere le foglioline per proteggersi. E lo ricorda anche a distanza di due mesi. Le acacie tropicali manipolano, tramite sostanze neuroattive nel nettare, le formiche per ingaggiarle come aggressive bodyguard contro insetti nocivi e anche giraffe ed elefanti. Il fiore d’arancio, quando “valuta” una certa ape come buona pollinatrice, rilascia più caffeina nel nettare così che si attivi il cervello dell’ape, che si ricorderà di quel fiore e ci tornerà. E azzera la caffeina alle api “incapaci”, per farsi dimenticare da loro».