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 2018  febbraio 04 Domenica calendario

Uma Thurman: «Weinstein mi ha molestata e umiliata. Ma non mi ha ucciso»

Sì, Uma Thurman è arrabbiata.
È stata stuprata. Ha subito molestie sessuali. È stata straziata tra le lamiere. È stata tradita e manipolata dalle persone di cui si fidava.
E non parliamo del ruolo della sposa insanguinata in Kill Bill, ma di un mondo amorale, spietato vendicativo e misogino quanto l’inferno di Tarantino. Parliamo di Hollywood. Nel ruolo della super sexy Mia Wallace in Pulp Fiction del 1994 e della feroce Beatrix Kiddo in Kill Bill, Thurman incarnava la dea leggiadra nel mito della creazione del produttore Harvey Weinstein e Quentin Tarantino. La troika della Miramax era l’espressione più cool del cinema indipendente. Pulp Fiction rese Weinstein ricco e rispettato. «Il mio complicato stato d’animo nei confronti di Harvey è legato al dolore che provo per le donne che sono state aggredite dopo di me», mi dice angosciata nel suo elegante appartamento di Manhattan, mentre fuma la sigaretta elettronica, sorseggia vino bianco e getta nel camino i contenitori vuoti della pizza.
«Io rappresento uno dei motivi per cui le ragazze andavano nel suo ufficio da sole, come me. Quentin aveva dato a Harvey il ruolo di produttore esecutivo di Kill Bill, film simbolo dell’emancipazione femminile. E tutti quegli agnellini andavano al macello convinte che nessuno in una posizione del genere avrebbe mai fatto mai qualcosa di illegale ai loro danni, ma così non è... Io sono nel contempo una persona che ha subito questo stato di cose e che faceva parte del meccanismo di copertura, una stranissima scissione», dice.
Nel giorno del Ringraziamento Thurman ha postato su Instagram uno screenshot del suo monologo in Kill Bill sulla furia vendicativa e facendo gli auguri a tutti «eccetto a te Harvey, e a tutti i tuoi malvagi cospiratori – sono lieta che sia una morte lenta – non meriti una pallottola».
Sotto il riserbo, Uma ha imparato a combattere. Dice che quando aveva sedici anni e viveva in un monolocale a Manhattan muovendo i primi passi della carriera di attrice una sera d’inverno andò in un locale e incontrò un attore più vecchio di lei di vent’anni che, dopo averla accompagnata a casa sua nel Greenwich Village a bere qualcosa, la costrinse ad avere rapporti sessuali.
«In ultima analisi sono stata consenziente», ricorda. «Ho cercato di dire no, ho pianto, ho fatto tutto il possibile. Tornata a casa, ricordo che davanti allo specchio mi sono guardata le mani provando rabbia perché non erano insanguinate o escoriate.
Credo di essere diventata meno remissiva».
Thurman conobbe Weinstein dopo il successo di Pulp Fiction.
«Passava ore a parlare con me del materiale, congratulandosi per la mia intelligenza, confermando le mie doti». Ben presto, durante una riunione nella sua stanza d’albergo a Parigi, le cose presero una piega diversa. «Non ho capito subito», dice. Stavano parlando di una sceneggiatura quando l’accappatoio si è aperto. «L’ho presa per una stranezza, tipo il comportamento di uno zio eccentrico». Lui le disse di seguirlo lungo un corridoio. «Ha aperto una porta e siamo entrati in un bagno turco. Stavo lì in piedi, completamente vestita, stivali, giubbotto di pelle. Gli ho detto “Ma è ridicolo, che cosa fai?” E lui tutto scombussolato e arrabbiato è uscito».
La prima “aggressione”, dice, seguì a breve distanza nella suite di Weinstein all’hotel Savoy di Londra. «È stata una mazzata in testa. Mi ha buttata giù, ha cercato di spingersi contro di me. Ha cercato di scoprirsi. Ha fatto ogni genere di cose sgradevoli. Ma non ci si è messo proprio di punta, non mi ha forzata. Ti senti un animale che si divincola, come una lucertola».
Il giorno dopo, Thurman avvertì Weinstein: «Se fai ad altre persone quello che hai fatto a me, perderai la tua carriera, la reputazione e la tua famiglia, te lo giuro». I suoi ricordi dell’episodio si interrompono bruscamente a questo punto. La sua amica Ilona Herman racconta che, quando l’attrice è stata nuovamente in grado di parlare, le ha detto che Weinstein aveva minacciato di rovinarle la carriera.
Questo ci porta alla “faccenda Quentin”, come la chiama Thurman. L’ostilità tra Weinstein e Thurman ha contagiato la sua partnership creativa con Tarantino. Nella famosa scena di Kill Bill in cui guida la decappottabile blu per andare a uccidere Bill le fu chiesto di mettersi lei al volante. Un componente della troupe, però, le aveva fatto capire che l’automobile potesse non funzionare così bene. Lei dice di aver insistito che non si sentiva a suo agio a guidare la macchina.
«Quentin Era furibondo perché gli stavo facendo perdere un sacco di tempo. Ma io ero davvero spaventata. Lui mi assicurò che l’automobile era perfetta».
Tarantino la convinse a mettersi al volante: «”Schiaccia il pedale e arriva ad almeno 65 chilometri orari”, disse lui, “altrimenti i capelli non svolazzeranno nel modo giusto e ti dovrò far ripetere la scena”. Quella in cui entrai, però, era una scatola mortale. Il sedile non era nemmeno fissato per bene. Il fondo stradale era sdrucciolevole per la sabbia e il tragitto non era rettilineo».
Thurman mi mostra le riprese e dice di aver impiegato 15 anni a ottenerle dopo tante resistenze della Miramax, la casa di produzione di Weinstein. «È stato un po’ come risolvere da sola il mio caso» dice. Sono riprese girate da una cinepresa montata sul retro della Karmann Ghia. E fa davvero spavento osservare Thurman che lotta con la macchina, mentre questa sbanda e va fuori strada per schiantarsi contro il tronco di una palma, e poi vedere il suo busto incurvato sbattere avanti e indietro inerme fino a quando alcuni membri della troupe non appaiono in un’inquadratura e la estraggono dai rottami. «Il volante mi aveva schiacciato lo stomaco e le gambe erano rimaste incastrate sotto», dice. «Quando fui dimessa dall’ospedale con un tutore cervicale, le ginocchia rovinate, un grosso bernoccolo in testa e una commozione cerebrale, volli vedere la macchina e mi adirai molto. Quentin e io litigammo furiosamente. Io lo accusai di avere cercato di uccidermi. Lui si arrabbiò moltissimo, il che è comprensibile, credo, perché lui non pensava di aver cercato di uccidermi».
Thurman dice che la sua intesa mentale con Tarantino ne uscì compromessa per sempre.
«Litigammo per anni, furiosamente» spiega. Adesso, a così tanti anni di distanza da quell’incidente, ispirata dalla resa dei conti per le violenze sulle donne, Uma Thurman rivive la «disumanizzazione di cui fu oggetto durante le riprese, fino al punto di rischiare la vita», furiosa perché non ci sono state ripercussioni legali contro Weinstein, e dice di aver consegnato alla polizia il frutto delle sue indagini e di aver aumentato le pressioni per convincere Tarantino a darle le riprese dell’incidente.
Seduta accanto al fuoco, la seconda sera che restiamo a chiacchierare fino alle tre, Uma Thurman piange. Dice che in Kill Bill, Tarantino si occupò di persona di alcuni dei giochetti sadici della pellicola, sputandole in faccia nella scena in cui sullo schermo vediamo Michael Madsen farlo e cercando di soffocarla con una catena al collo nella scena in cui sullo schermo vediamo in azione un’adolescente di nome Gogo. «Harvey mi ha aggredita, molestata, ma non mi ha ucciso», dice oggi.
Traduzione di Emilia Benghi e Anna Bissanti – 2018, The New York Times