la Repubblica, 3 febbraio 2018
L’amaca
Questo Dessì di cui si parla tanto, candidato al Senato dei 5Stelle con ottime probabilità di essere eletto, non merita tanto accanimento. È un popolano laziale come ce ne sono parecchi. Uno che si arrabatta per vivere, non ha avuto il tempo di studiare le buone maniere né di studiare in genere, ha ereditato dalla famiglia povera solamente il diritto di abitare quasi a scrocco in una casa popolare, considera normale, come in tanti bar italiani, «menare un rumeno» che gli ha mancato di rispetto. Sarebbe stato, nell’evo pre-grillino, un normale fascista del suburbio romano, e in questo Grillo ebbe ragione: «Se non ci fossimo noi, ci sarebbe Alba Dorata».
Il problema non è lui. Il problema è l’idea – micidiale – di non frapporre tempo o vaglio o tappe intermedie o prove di valore al passaggio di Dessì dal suo alloggio (quasi a scrocco) di Frascati a Palazzo Madama. Il problema è pensare che il malfunzionamento della politica e la crisi della classe dirigente possano essere risolti con l’amputazione tout court della politica e dei famosi “corpi intermedi”, che lo sono di nome e di fatto: costituiscono tutto ciò che sta tra la testa e i piedi di un Paese. Così la testa e i piedi minacciano di essere direttamente uniti l’una agli altri, senza niente in mezzo.
Una specie di freak che, al di là delle buone intenzioni, rischia di esporre al ridicolo soprattutto i Dessì, prima illusi, poi mazziati.