la Repubblica, 3 febbraio 2018
Il duello dei gemelli diversi di Silvio Berlusconi
Roma Renato Brunetta dormiva su un divano di Arcore. Paolo Romani e Niccolò Ghedini, alle due del pomeriggio di sabato, hanno chiesto una pausa: «Non ce la facciamo più». Licia Ronzulli e Antonio Tajani resistevano ma solo perché il presidente dell’Europarlamento, l’indomani, doveva lasciare la compagnia per volare in Spagna. Troppi questuanti, troppe esclusioni dolorose. E da Roma Gianni Letta continuava a telefonare con due grandi preoccupazioni: la posizione dei candidati amici da una vita e il ruolo della Lega a quel tavolo: «Ho paura che attraverso Niccolò facciano la parte del leone». Così è andata la partita delle liste dentro Forza Italia. Fino al momento in cui all’ex sottosegretario di Palazzo Chigi sono stati mostrati i numeri degli equilibri interni, decretando una mezza pace, diciamo una tregua. Siglata ieri con il comunicato congiunto di Letta e Ghedini.
Smentiti i retroscena: «Come di consueto abbiamo lavorato in perfetta sintonia e con l’unico scopo precipuo di coadiuvare il presidente Berlusconi nelle scelte». Eppoi: «Nelle previsioni tale suddivisione non potrà che vedere Forza Italia prevalere sulle altre formazioni politiche alleate», si legge nella nota a doppia firma. Ma la verità non è tutta qui.
Troppo diversi per capirsi, il 59enne Ghedini e l’83enne Letta. Uno vive tra Padova e Milano, lontano dai palazzi, compresi quelli che gli pagano lo stipendio da parlamentare visto il record di assenze. L’altro è il “diplomatico” che da sempre frequenta le stanze del potere, i salotti giusti, ( dove resta lo stretto necessario), e conosce tutti i protagonisti che contano: dallo sport alle imprese statali, dal Vaticano alla Rai, dalla politica all’alta moda. In comune sembrano avere solo due cose: la mostruosa capacità di lavoro e la poca voglia di parlare. Con loro i segreti sono al sicuro. Ma persino il comunicato racconta i loro mondi contrapposti. Lo ha scritto chiaramente Ghedini, in avvocatese. Si leggono parole come “afferenti”, “inveritiera”. Letta, direttore del Tempo un’esistenza fa, non avrebbe mai passato un articolo scritto in quel modo. Al succo, la distanze sono di visione del futuro. Da una parte, l’ambasciatore Mediaset disposto a sacrificare l’alleanza con Salvini per le larghe intese. Dall’altra, l’avvocato pronto a difendere il patto con Salvini a ogni costo.
L’ex sottosegretario di Palazzo Chigi ha guardato con sospetto le mosse intorno al tavolo delle candidature. Più volte ha chiamato Romani e Tajani raccomandandosi di non farsi fregare da chi «ha una sensibilità troppo nordista». Si riferiva a Brunetta e Ghedini. Bisognava bilanciare bene la scelta con una quota di moderati anche nel Nord, senza far prevalere l’anima più estremista, vicina agli slogan di Matteo Salvini. Questo stava a cuore a Letta e questo, dicono, alla fine è stato garantito.
Poi da Roma arrivavano altre richieste. «Perché ricandidate Paolo Barelli, lo sapete che è nemico di Malagò. Giovanni si offende». Ma Barelli, capo della Federnuoto, è uno storico senatore di Forza Italia, intoccabile. Sempre a Roma è scattato l’allarme quando Andrea Ruggieri, da tempo strettissimo collaboratore di Berlusconi, ha perso il collegio dell’Aquila, la terra dello zio, Bruno Vespa, e di Letta, amici fraterni. Il punto però era più politico. Se ne sono accorti anche nel Partito democratico, tanto che un renziano doc oggi dice: «Peccato che a quel tavolo non ci fossero Letta e Confalonieri».
I numeri finali hanno risolto la questione. Per ora. Letta è stato rassicurato con la tabella frutto dell’algoritmo usato ad Arcore. Nell’uninominale, dove corre la coalizione di centrodestra, i collegi sono stati distribuiti, per Camera e Senato con questi numeri: 149 Forza Italia, 126 Lega, 51 Fratelli d’Italia, 23 centristi. Le cifre iniziali erano diverse. Berlusconi doveva avere 155 candidati, la Lega 130. Hanno ceduto posti alla quarta gamba. La distruzione poi è avvenuta sulla base della “garanzia” di elezione, dividendo i collegi in A1-2-3 (ottimi e buoni) e in B1-2-3 (meno buoni e ostici). Anche Forza Italia farà i conti il 5 marzo. Così come Letta e Ghedini.