La Lettura, 4 febbraio 2018
Il dollaro del Medioevo veniva da Firenze
Di una sola moneta si parla in Europa, dal 1252 in poi: del fiorino di Firenze. Viene battuto per la prima volta nel novembre di quell’anno. Non è la solita moneta d’argento ma, fatto sorprendente, è d’oro. Per secoli nessuno aveva osato tanto. In tutto l’Occidente, da Carlo Magno in poi, per fare monete era stato adoperato solo l’argento. L’oro era diventato una chimera. Rarefatto, in un mondo dove commerci e scambi languivano. Questa la situazione, a lungo, con minime eccezioni. Però ora, in questa nuova Europa del Duecento in cui cominciano a dominare i mercati, c’era assoluto bisogno, come scrive lo storico Carlo M. Cipolla, di «un solido mezzo di pagamento di valore unitario elevato, che desse affidamento di stabilità intrinseca per poter essere accettato anche fuori del ristretto mercato locale». I fiorentini intuiscono la necessità e si lanciano nell’impresa. E coniano un prodotto rivoluzionario: il fiorino. Una moneta di massa, d’oro, simile per diametro agli attuali 5 centesimi di euro, del peso di 3,53 grammi. Riconoscibile da chiunque e dovunque come emanazione del potere di Firenze: con, da un lato, l’effigie del santo patrono, san Giovanni; e, dall’altro, il giglio, il simbolo della città.
Checché ne pensasse il tradizionalista Dante – che, nella Commedia, coglie nel maladetto fiore solo uno strumento di avidità che aveva modificato la Chiesa del suo tempo —, il fiorino diventa l’emblema di una nuova mentalità in marcia, che fonda tutta la sua forza sul capitale e sull’intraprendenza, sulla banca e sulla finanza internazionale. E, in breve tempo, si trasforma in un successo che si propaga rapido come un’epidemia.
Pochissimi anni dopo la sua nascita, il fiorino ha già superato la dimensione locale. Diventa fondamentale per gli scambi a Roma, nel Regno di Napoli, nell’intera Penisola. E l’area di penetrazione si allarga. Il fiorino arriva in Francia, in Spagna, in Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Germania, in Ungheria, nella regione baltica, diventando, come il dollaro oggi, la divisa accettata da tutti come moneta di conto e standard della misura del valore. Ma la sua influenza non si limita all’Europa e coinvolge le sponde del Mediterraneo, il Nord Africa, il Levante, Bisanzio. Alla domanda crescente di fiorini la zecca di Firenze risponde con emissioni imponenti, come i 400 mila esemplari annui coniati negli anni Trenta del Trecento, i 352 mila del 1344-45, gli oltre 340 mila del 1350-51. Con una sessantina di imitazioni in Italia e in Europa, tra cui la principale fu il ducato di Venezia, nato nel 1285.
La fortuna del fiorino durò tanto, circa tre secoli e fu a lungo apprezzato, sebbene, nel corso del Quattrocento, fosse scavalcato nel ruolo di valuta internazionale proprio dal ducato veneziano. Fino al 1542, quando avvenne l’ultima emissione. Il tempo di Firenze e del fiorino, infatti, era ormai scaduto. All’orizzonte si profilavano protagonisti e monete espressione di una nuova egemonia europea atlantica e mondiale.