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 2018  febbraio 04 Domenica calendario

A cosa serve (davvero) la biopsia liquida

Di «biopsia liquida» sentiremo parlare molto nei prossimi anni. La biopsia liquida consiste nel raccogliere sangue, urine, ma anche saliva, e cercarvi svariate componenti tumorali. Questa metodica si propone quindi, a prima vista, come alternativa alla biopsia tradizionale che, invece, richiede il prelievo del tessuto tumorale, operazione non sempre semplice, come per esempio quando il tumore è in una posizione difficile da raggiungere. 
«Attraverso la biopsia liquida si analizza il Dna del tumore, così è come se avessimo la sua “carta d’identità”— spiega Antonio Russo, direttore dell’Oncologia al Policlinico Giaccone di Palermo e autore di un volume da poco pubblicato negli Usa sul tema (Liquid Biopsy in Cancer Patients -The Hand Lens for Tumor Evolution, Springer, New York)—. I risultati del test possono essere utili su più fronti: scegliere per ogni malato la terapia più indicata e anche verificare se la cura sta funzionando».
La ricerca di mutazioni del Dna tumorale rilasciato in circolo potrebbe anticipare la scoperta di un tumore quando non è ancora visibile con le metodiche diagnostiche come TAC o risonanza magnetica.
«Occorre distinguere bene fra realtà e speranza – sottolinea Nicola Normanno, direttore del Dipartimento di Ricerca Traslazionale all’Istituto Tumori Fondazione Pascale di Napoli —. Fra che cosa possiamo fare già oggi, cioè utilizzare la biopsia liquida per “scegliere il farmaco giusto” in determinati tumori, e che cosa invece è oggetto di sperimentazione, cioè l’uso come mezzo di diagnosi precoce o come alternativa alla biopsia del tessuto».

In che cosa consiste la biopsia liquida? 
«Sul termine c’è non poca diatriba – risponde Russo, che è anche membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) —. Con “biopsia” infatti storicamente si intende la rimozione di un tessuto e la sua analisi da parte di un anatomopatologo per giungere a una diagnosi. La biopsia liquida non utilizza però il tessuto ma un fluido biologico come sangue, urine o saliva. Quindi con un semplice prelievo di sangue è possibile analizzare le cellule del tumore che si staccano dalla massa principale (anche dette Cellule tumorali circolanti, Ctc ) o frammenti di materiale genetico (Dna tumorale circolante, ctDna ) che si riversano in circolo, per avere importanti informazioni sulla caratteristiche genetiche del tumore e, di conseguenza, per pianificare un trattamento più adeguato e diversificato per ciascun paziente». 

Perché la biopsia liquida può «seguire» un tumore nel tempo? 
«La biopsia tradizionale è una procedura invasiva – continua Russo – e non sempre praticabile per svariati motivi legati sia al paziente, sia alla sede in cui si trova il tessuto da asportare. Inoltre una biopsia classica fornisce una fotografia “istantanea” della malattia mentre sappiamo che il tumore cambia le proprie caratteristiche nel tempo. Abbiamo quindi bisogno di uno strumento che ci consenta di monitorare la malattia, registrare i suoi cambiamenti e individuare le alterazioni genetiche che causano l’eventuale resistenza che può instaurarsi nei confronti dei farmaci utilizzati fino a quel momento. Il prelievo di sangue è una procedura che può essere ripetuta ogni volta sia ritenuto necessario. E ciò è un enorme vantaggio per seguire l’evoluzione della malattia».

Oggi con la biopsia liquida si può già fare diagnosi certa di tumore ? 
«No – chiarisce Normanno, che è anche tra gli autori di un volume edito da Aiom e dedicato ai pazienti per fare chiarezza su questo argomento —. Con la biopsia liquida, per ora, non si può fare diagnosi e l’analisi tissutale resta fondamentale, soprattutto nelle prime fasi, per un corretto inquadramento diagnostico. La biopsia liquida è uno strumento complementare, utile per ottenere una caratterizzazione molecolare del tumore, per trovare biomarcatori che ci permettano di scegliere, in alcuni casi, un farmaco invece di un altro».

I test attualmente in vendita che vanno a caccia di cellule cancerose nel sangue di persone sane, senza sintomi, a che servono? 
«Parliamo di esami che, tramite un prelievo di sangue e per una cifra variabile tra i 500 e i duemila euro, promettono di intercettare eventuali cellule cancerose in circolo prima che si abbiano sintomi e che qualsiasi indagine strumentale sia in grado di individuare il tumore – spiega Carmine Pinto, direttore dell’Oncologia all’Irccs Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia —. Il progresso tecnologico oggi ha messo la comunità scientifica nelle condizioni di avere informazioni dettagliate in campo molecolare, che prima non erano alla sua portata. Il fatto di conoscere alcuni aspetti della “carta d’identità” genetica del cancro, però, non significa ancora sapere come utilizzare correttamente queste informazioni all’interno di percorsi diagnostici e terapeutici virtuosi. Il rischio è di dare troppo credito a fantomatici test che giurano di intercettare le cellule cancerose, trasformando un’innovazione che ci potrebbe essere di grande aiuto in un prossimo futuro in una fonte di informazioni troppo grezze per essere utilizzate, e con un grande impatto emotivo per la società, a rischio di vivere sotto lo spettro di doversi per forza ammalare».

Quali, alla fine, i limiti principali della biopsia liquida? 
«Come detto bisogna tener presente – riprende Normanno – che la biopsia liquida non fornisce le informazioni necessarie per la diagnosi di tumore. Inoltre, nel caso in cui l’analisi del Dna tumorale circolante rilevi un’alterazione genetica specifica per un tipo di tumore, il risultato del test è estremamente affidabile. Se invece non si individua alcuna alterazione l’esito potrebbe non essere del tutto attendibile e, se possibile, andrebbe effettuata una biopsia tradizionale per avere conferma».

Per quali tipi di tumori e pazienti è indicata la biopsia liquida? 
«Per tutte le neoplasie (solide e del sangue) si stanno studiando diversi campi di applicazione e tra questi la possibilità di conoscere le mutazioni tumorali già alla diagnosi, così da potere utilizzare farmaci a bersaglio molecolare o per separare i tumori a decorso aggressivo da quelli a decorso più favorevole – dice Antonio Russo —. Inoltre, la biopsia liquida potrebbe permettere di monitorare la comparsa di resistenze ai farmaci durante il trattamento mediante dei prelievi seriali, poco fattibili oggi con il tessuto. Altro aspetto, più scientifico, è che lo studio dei componenti rilevati con le biopsie liquide potrebbe permetterci in poco tempo di comprendere meglio quali sono i meccanismi genetici più fini che comandano e regolano la diffusione delle cellule maligne nell’organismo. E magari di rivoluzionare, in futuro, il trattamento del cancro».

La procedura è ancora sperimentale o è già usata nella pratica clinica? 
«Le sperimentazioni negli ultimi 10 anni sono cresciute in misura esponenziale ed è per questo che ne sentiremo parlare molto nel prossimo futuro – risponde Normanno —. I primi risultati conclusivi sono quelli che riguardano il tumore del polmone non a piccole cellule : sappiamo che, per questa forma di cancro, conoscere se il paziente presenta o meno una mutazione del gene EGFR è fondamentale per una corretta scelta terapeutica. La ricerca delle mutazioni di EGFR è generalmente effettuata su tessuto, ma può accadere che il campione non sia valutabile o addirittura non sia disponibile a causa dell’inacessibilità della lesione. In questo caso lo studio del Dna tumorale libero in circolo tramite la biopsia liquida è una valida alternativa, già entrata nelle linee guida standard anche per monitorare l’eventuale insorgenza di resistenza a una terapia. In entrambi i casi, il risultato ottenuto tramite biopsia liquida autorizza l’oncologo a scegliere un trattamento specifico e consente l’accesso a terapie biologiche di nuova generazione».

Per quali tumori è in fase di studio? 
«A oggi i risultati più promettenti della biopsia liquida si sono ottenuti nel carcinoma della prostata – specifica Russo —: da alcuni studi sembrerebbe emergere un ruolo delle cellule tumorali circolanti nel definire non soltanto la prognosi, ma anche la sensibilità delle cellule maligne prostatiche ai chemioterapici o alle terapie ormonali di nuova generazione. La tecnica è oggetto di studio, abbastanza avanzato, nei tumori di seno e colon o nel melanoma cutaneo, nel tentativo di individuare nuovi fattori predittivi di efficacia dei nuovi farmaci o di precoce recidiva di malattia. Capire quale sia il medicinale più valido nel singolo paziente è infatti sempre più cruciale, non solo per il malato che ne trae maggior beneficio, ma anche per il Sistema sanitario, perché in questo modo si possono prescrivere i nuovi costosissimi medicinali solo nei casi appropriati».

Quando si parla di biopsia liquida ci si riferisce a uno specifico test? 
«No, stiamo parlando di un’unica metodica ma di diversi test, prodotti da aziende differenti – risponde Normanno —. Si tratta, peraltro, di un esame tecnicamente più complesso della biopsia tissutale tradizionale e sul quale c’è meno esperienza. Proprio per questo, con i colleghi di diverse Società scientifiche europee, stiamo mettendo a punto un sistema di controllo per allineare tutte le procedure che compongono il processo di analisi e di interpretazione del test di biopsia liquida nei laboratori. L’obiettivo è che tutti i pazienti che si sottopongono a biopsia liquida abbiano accesso a test della stessa, elevata, qualità».

La biopsia liquida è un esame costoso? 
«L’analisi per il paziente oncologico italiano è a costo zero, mentre il prezzo per il Servizio sanitario nazionale – conclude Russo – dipende dalla tipologia di metodica che viene utilizzata per eseguire l’analisi, ma si aggira attorno ai 500 euro: una cifra non bassa, ma che in realtà porta a grandi risparmi se così si somministrano, caso per caso, i farmaci realmente “mirati” sul tipo di tumore».