Corriere della Sera, 4 febbraio 2018
Sull’isola che esilia le capre. «Così eviteranno di finire al macello»
PALMARIA (La Spezia) Il sentiero è molto ripido. Il mare si scorge appena tra carpini, lecci, pini marittimi e rovi. Si scende. «Ecco, qui c’è una traccia». Massimo Pigoni guida la squadra. Una frazione di secondo, il tempo di alzare lo sguardo e compare. La capra ingoia una foglia e fugge via. Sotto ci sono rocce impervie, impossibile andare oltre. Con una mano Pigoni si gratta il capo: «Non sarà facile catturarle». Pigoni è il capo della squadra dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali) che da Genova alle dieci del mattino è arrivata sul molo di Portovenere (La Spezia). La missione appena iniziata non è facile: spostare un centinaio di capre dall’isola Palmaria, a pochi metri da Portovenere, sulla terraferma, in una fattoria. Per evitare il macello.
Le capre di Palmaria sono accusate di pregiudicare l’ecosistema dell’isola. Mangiano piante mediterranee autoctone e spaventano il falco pellegrino che qui nidifica. Il verdetto è stato messo nero su bianco da uno studio commissionato una dozzina di anni fa dal Comune di Portovenere. Che successivamente in un’ordinanza ha messo le cose in chiaro, senza tanti giri di parole: o si deportano o saranno abbattute. A seconda di come si giudica la vicenda, le selvagge capre di Palmaria rischiano di diventare il simbolo o di una battaglia di libertà (animale) o di una pura e semplice opera di salvaguardia ambientale.
Non si sa come e quando le capre sono arrivate sull’isola. C’è chi dice che ci sono da almeno 60 anni. Il figlio dell’ex guardiano dei fari dell’arcipelago, Danilo Francescano, nega. «Sono andato via alla fine degli anni Sessanta. All’epoca c’era l’invasione dei gatti non delle capre. Quelle sono comparse negli anni Novanta». Susanna, che gestisce l’ostello comunale che ospita gruppi di studenti e studiosi, sostiene che sono stati gli abitanti a portarle, «le tenevano davanti casa per avere un po’ di latte».
Palmaria è abitata da una trentina di persone. Ci sono piu capre che umani. Almeno quindici sono stabili davanti all’ostello dove Susanna ospita la decina di volontari dell’Enpa. Il lavoro sarà lungo. La prima settimana cercheranno di individuare e contare le capre, tracciare i sentieri battuti, gli orari del passaggio, decifrarne le abitudini. La speranza è di radunarle, metterle in gabbia e caricarle su una chiatta. Saranno trasportate in una fattoria di Varese Ligure dove resteranno in quarantena. Per l’Enpa è un punto essenziale: le capre saranno affidate solo a chi garantirà agli animali di poter conservare le vecchie abitudini. Cioè pascolo libero. Il sindaco di Portovenere, Matteo Cozzani, il primo di centrodestra dopo anni di dominio del centrosinistra, è stato minacciato di morte. «Associazioni animaliste si sono scatenate perché credevano che io volessi sparare agli animali. Forse spronate da certi ambienti politici».
Il vento è forte. Giù, sullo sfondo, si scorge Portovenere. Il sindaco continua: «Sono arrivato nel 2013. Chi mi ha preceduto aveva finanziato 54 mila euro per risolvere la faccenda. Soldi spesi in mangime, studi, recinzioni, trasporti di materiale. Fallimento totale. Io ho fatto un bando: chi vuole può prendere le capre. Chissà perché ma nessuna associazione si è fatta avanti».
È a questo punto che entra in scena l’Enpa. In cima, dentro una stanza dell’ostello, Pigoni stende una mappa dell’isola. «Diamoci una mossa. Una squadra a destra, una va a sinistra. Due uomini con me». Tre austriaci armati di telecamera ne seguono una. Sono qui per un documentario sulle capre che sarà trasmesso dalla tv del loro Paese. La caccia è aperta.