Corriere della Sera, 3 febbraio 2018
Troppi compiti a casa
A guidare il riflusso questa volta sembrerebbero gli inglesi. È di pochi giorni fa la notizia della rivolta dei genitori della Philip Morant School and College di Colchester contro la preside per la sua decisione di dichiarare la scuola homework-free. Non fare i compiti, secondo mamme e papà di questa cittadina dell’Essex, non serve a dare maggiore autonomia ai ragazzi ma li espone al rischio di non passare gli esami finali.
In Italia, invece, da tempo è in corso una «rivolta» di segno contrario, che ha preso anche la forma di una petizione su Change.org, animata dal dirigente scolastico di Genova Maurizio Parodi che l’ha lanciata tre anni fa con lo slogan «Basta compiti», perché sarebbero inutili, dannosi, discriminanti e malsani. La petizione cresce verso le 30 mila adesioni: c’è anche qualche professore e tante maestre. Tra gli sponsor illustri ci sono l’ex consigliere della Rai Carlo Freccero, lo scrittore Alessandro Dal Lago e il pedagogista Daniele Novara.
Ma l’idea di vietare i compiti in base alla Carta internazionale dei diritti dell’infanzia che parla di diritto al riposo si scontra con la libertà d’insegnamento. Si potrebbe obiettare con l’Ocse che i compiti creano ineguaglianza tra chi può essere aiutato dai genitori e chi no. E del resto i ragazzini finlandesi che sono al top per competenze e conoscenze in Europa studiano un terzo dei loro coetanei italiani che vanno molto peggio a scuola. Per quanto si possa essere esasperati, come genitori, dalla mole dei compiti dei nostri figli, non si può fare come quel papà di Varese che al rientro delle vacanze giustificò così il figlio che non li aveva fatti: «Voi avete nove mesi per dargli nozioni e cultura, io ho solo tre mesi per insegnargli a vivere».
La ministra Valeria Fedeli, commentando la notizia che Macron aveva vietato i devoirs alle medie, ha detto: «Basta con lo schema tradizionale: ti faccio la lezione frontale, poi tu approfondisci a casa da solo. Dobbiamo provare ad innovare». È questa la direzione seguita dalla sperimentazione ideata dal pedagogista e funzionario del Miur Raffaele Ciambrone, partita l’anno scorso a Biella ed estesa quest’anno a 166 scuole elementari e medie di altre 4 province: Verbania, Milano, Torino e Trapani. Non basta eliminare i compiti a casa se la didattica rimane quella che è. Spiega Cinzia Sabatino, referente del progetto a Biella: «I nostri figli sono sovraccaricati. Fanno lezione per 6-7 ore al giorno e poi devono fare i compiti a casa. Perché non usare una parte delle ore in classe invece per consolidare le cose imparate al mattino?».
Non solo: il progetto interviene anche sullo «spezzatino» delle materie che toglie concentrazione. Alle elementari si fa una settimana di italiano e la successiva di matematica, un po’ come doveva essere il tempo pieno. Alle medie si accorpano le materie per macroaree (linguistica, matematica ed espressiva) e ogni docente svolge un argomento per volta: un giorno grammatica, un altro epica, il terzo storia. Le lezioni sono concentrate al mattino per la primaria e nelle prime tre ore alle medie. Poi parte il lavoro in gruppo con la didattica fra pari e le esercitazioni. Funziona? «I primi segnali sono molto incoraggianti – dice Sabatino – siamo monitorati dall’Università Cattolica che, alla fine del triennio di sperimentazione, pubblicherà i risultati».