La Stampa, 4 febbraio 2018
Sanremo: i testi in gara tra emarginati donne, lavoro e terrorismo
Parole, parole, parole. Quelle del Festival 2018 sono tante, come i 20 (più otto giovani) artisti in gara. Mi sono letto tutti i testi: confermano come le canzoni dell’Ariston rappresentino effettivamente – anche se parzialmente – lo spirito dei tempi. Gianni Borgna, autore nel 1980 de La grande evasione. Storia del Festival di Sanremo: 30 anni di costume italiano, aveva già notato come il «consumismo culturale» della canzone popolare, nella sua leggerezza, non fosse totalmente disimpegnato e riflettesse invece alcuni degli umori e delle questioni presenti nello spazio pubblico.
Non è canzone d’autore, e quindi il tutto avviene all’insegna di un tratto strutturale di tanta parte della cultura pop: la maniera semplice – o semplificata – di raccontare le cose, per proporle al grande pubblico. Perché se ci si rivolge a un target amplissimo di destinatari si deve veicolare un messaggio univoco e immediatamente comprensibile, senza sfumature. E Sanremo è un distillato allo stato puro della gramsciana categoria di nazional-popolare.
E così, l’attualità fa la sua comparsa, eccome. Enzo Avitabile e Peppe Servillo cantano Il coraggio di ogni giorno di vivere degli ultimi, una neoclasse vasta e articolata che va dai precari agli emarginati e si sforza comunque a lasciare di sé delle «tracce sulle pietre». Lo Stato Sociale, in versione salomonicamente neolaburista e decrescista, inanella una sequela di professioni del Terzo millennio (dal «bioagricoltore» al «toyboy», dal «motivatore» al «caso umano» in tv) per parlare di lavoro non per obbligo né necessità; e in tempi di promesse elettorali di redditi di base (senza coperture finanziarie) questo testo ha un suo perché. Nina Zilli porta sul palco dell’Ariston una versione canora del #MeToo e della rivolta delle donne che rivendicano la loro libertà Senza appartenere a nessun uomo (anche se taluni versi danno piuttosto la sensazione di «non appartenere» alla sintassi di senso compiuto). E con Non mi avete fatto niente Ermal Meta e Fabrizio Moro mettono in musica la paura del terrorismo islamista e la reazione alle sue «inutili guerre».
Poi, come sempre, parole per esprimere sentimenti (e sentimentalismi), ma anche parole piene di nonsense (Elio e le storie tese) o in romanesco (Luca Barbarossa). E parole ricercate, come quelle delle canzoni di Max Gazzè e Mario Biondi, e perfino (benemerite) per rilanciare Il congiuntivo (Lorenzo Baglioni). E, dunque, un’istantanea tutto sommato precisa dell’aria che tira nella società italiana di questo momento storico.