La Stampa, 4 febbraio 2018
Trump rivede la dottrina nucleare. Missili con mini testate sui sottomarini
Nuova spallata di Donald Trump alla architettura dottrinale di Barack Obama. E questa volta a finire nel tritacarne del 45° presidente americano è la politica militare in fatto di arsenali nucleari. Con la «Revisione della Posizione Nucleare» («Nuclear Posture Review»), la prima dal 2010, il Pentagono ha illustrato come si prepara a fronteggiare le minacce atomiche nei prossimi decenni. L’obiettivo della Difesa Usa è non solo contrastare i pericoli che arrivano dalla Corea del Nord, ma anche avere un deterrente in più verso Russia e Cina. Due Paesi che, nell’ambito della dottrina Trump, vengono esplicitamente considerati come una potenziale minaccia, al pari dell’Iran.
A levare i veli alla nuova strategia sono i vertici del Pentagono, al termine di una puntuale revisione del Nuclear Plan varato nel 2010 da Barack Obama. E la risposta di Mosca, che si dice «profondamente delusa», non si è fatta attendere: «Siamo pronti a reagire di fronte all’impressionante grado di ostilità e all’orientamento anti-russo di questo documento». Clima da Guerra fredda che comporta un rischio di escalation, con il Cremlino che minaccia a sua volta l’adozione di «tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dalla Russia».
A dire il vero la revisione ordinata da Trump non rappresenta un radicale rovesciamento del programma varato nell’era Obama. Se da una parte la nuova strategia supera quel piano, puntando ad aumentare le opzioni nucleari a disposizione, dall’altra c’è di fatto una continuità con la precedente amministrazione. Trump infatti per ora rinuncia a quella svolta che aveva più volte annunciato con l’aumento del numero complessivo delle armi atomiche in possesso degli Usa.
Una decisione che avrebbe aperto la strada ad una nuova vera e propria corsa agli armamenti, dopo decenni di sforzi contro la loro proliferazione. Anche nel discorso sullo stato dell’Unione il commander in chief non ne ha fatto più cenno, accantonando il progetto. E una conferma della frenata del tycoon su questo fronte è il fatto che la nuova dottrina non sconfessa il trattato Start, l’accordo con Mosca fortemente voluto da Barack Obama nel 2010 per proseguire lo sforzo di riduzione delle armi di distruzione di massa. Questo nonostante Trump abbia più volte attaccato la Russia per presunte violazioni dell’intesa. La novità è che il Pentagono è pronto a sviluppare nuovi missili balistici e missili cruise su cui montare testate nucleari a basso potenziale che possono essere lanciate da sottomarini. Un chiaro messaggio teso a scoraggiare l’uso di armi simili da parte di Paesi come Russia e Cina, accusati di dotarsi di nuovi missili. E alla cui minaccia difficilmente Washington potrebbe rispondere con le «superbombe» atomiche.
La nuova dottrina conferma inoltre il diritto degli Stati Uniti di utilizzare per primi la bomba atomica in «circostanze eccezionali». I costi del piano di ammodernamento delineato dall’amministrazione Trump sono stati stimati in 1.200 miliardi di dollari in 30 anni. A meno di cambiamenti di rotta previsti per gli anni a venire, ipotesi che con Trump non è da escludere a priori.