La Stampa, 3 febbraio 2018
Inflazione, nel paniere i robot di casa
L’Istat cambia il paniere di prodotti con cui misura l’inflazione: lo fa periodicamente, e questa volta escono il canone Rai e il lettore Mp4, mentre si fanno strada il robot aspirapolvere, la lavasciuga, il mango, l’avocado e i vini liquorosi. L’Istituto nazionale di statistica si adegua alle mutevoli abitudini di spesa delle famiglie, in campo tecnologico ma anche alimentare, e la Coldiretti arriva persino ad attribuire al cambiamento climatico l’ingresso della frutta esotica, mentre l’Unione nazionale consumatori solleva dubbi sul peso che viene attribuito ad alcune voci, ad esempio il costo dei servizi bancari e finanziari che si ridurrà del 7,3%. Polemiche del genere non sono nuove, perché il cambiamento del paniere non è solo un fatto tecnico e non è mai neutrale.
Nel frattempo l’Istat fa pure il suo lavoro ordinario rilevando il tasso d’inflazione, che a gennaio ha rallentato la sua corsa: l’indice dei prezzi al consumo è aumentato soltanto dello 0,2% rispetto a dicembre e allo 0,8% rispetto a gennaio 2017, e questo incremento è il più basso dal dicembre 2016. Quanto al paniere, più ristretto, del cosiddetto «carrello della spesa» (cioè i prezzi dei beni alimentari e di quelli per la cura della casa e della persona, che in media pesano di più sul bilancio delle famiglie nella vita di tutti i giorni), questo indice è aumentato più di quello generale, segnando un +1% su base mensile e +1,2% su base annua.
La frenata dell’inflazione è un fatto positivo per i consumatori, perché ne aumenta il potere di acquisto, ma è negativa per l’economia in generale, perché sta a significare che i consumi ristagnano, e questo non incoraggia le aziende a investire e ad assumere. L’obiettivo di alzare il tasso di inflazione, e di evitare di cadere nel suo opposto, la deflazione, ha motivato la politica della Banca centrale europea che da anni ha preso misure straordinarie per aumentare la liquidità circolante; altri Paesi ne hanno beneficiato, mentre l’Italia è ancora molto lontana dall’obiettivo fissato dalla Bce (vicino ma inferiore al 2%).
L’Istat spiega di aver rilevato a gennaio un rallentamento della crescita dei prezzi degli alimentari non lavorati (+0,1% annuo a fronte di +2,4% a dicembre 2017), dei beni energetici non regolamentati e dei servizi relativi ai trasporti.
Reazioni miste dalle organizzazioni dei consumatori, che accolgono come una buona notizia il rallentamento dell’inflazione ma sottolineano che la crescita dei prezzi dello 0,8% su base annua significa comunque uno sgradito aumento di spesa di 242 euro per ogni famiglia italiana media, secondo i calcoli del Codacons. La famiglia media è fatta da 2,4 persone, ma se si considera un nucleo composto da una coppia e due figli, l’aggravio di spesa, calcolato stavolta dall’Unione consumatori, arriva a 313 euro.
Da un diverso punto di vista, l’ufficio studi della Confcommercio (associazione di negozianti) afferma che «è difficile stabilire se privilegiare l’interpretazione positiva della bassa inflazione che sostiene i redditi o se debbano prevalere le preoccupazioni sulla debolezza dei consumi». Tuttavia, argomenta Confcommercio, «la presenza di un quadro inflazionistico moderato anche nel complesso dell’Eurozona conferma le attese di un’uscita lenta e cauta dalla fase dei bassi di tassi d’interesse, condizione che agevola le decisioni d’investimento delle imprese, sempre che emerga una genuina domanda di accumulazione di capitale produttivo». In soldoni: la Bce di Mario Draghi dovrebbe continuare a immettere liquidità più a lungo di quanto fosse in programma. Però la Banca di Francoforte non può decidere sulla sola base dell’inflazione italiana, e se il nostro Paese resta molto fuori dalla media europea Draghi non potrà fare miracoli.