La Stampa, 3 febbraio 2018
Minniti a Washington: «Patto con gli Usa sulla Libia. Non diventi la base dell’Isis»
Si rafforza l’asse tra Usa e Italia contro il terrorismo, per evitare che la Libia diventi la nuova base dell’Isis, sfruttando i flussi migratori per colpire l’Europa. Lo dice il ministro degli Interni Minniti, dopo gli incontri avuti a Washington con il segretario alla Giustizia Sessions, quello alla Homeland Security Nielsen, e il capo dell’Fbi Wray. Il ministro ha percepito la volontà di «fare affidamento sull’Italia», Paese «imprescindibile per la sfida strategica del Mediterraneo». Minniti ha smentito che sia in corso una ripresa strutturale degli sbarchi, ha confermato l’impegno dell’Italia a difendersi dalle interferenze russe nelle elezioni, e ha spiegato i piani per creare negli aeroporti di Malpensa e Fiumicino i primi due hub europei della «preclearence», l’accesso facilitato agli Usa completando le operazioni doganali alla partenza, «entrato ormai nell’ultimo miglio di realizzazione».
I servizi di intelligence hanno stimato che in Iraq e Siria ci fossero tra 25.000 e 30.000 foreign fighter, e i sopravvissuti ora vogliono tornare a casa: «Prima del collasso militare del Califfato era difficile pensare che uno Stato terroristico in piena salute potesse utilizzare i flussi migratori per il trasferimento di risorse verso teatri d’attacco, in questo caso l’Europa. Un gruppo d’attacco è un bene nobile, e quindi non lo metti a rischio su percorsi abbastanza fragili. Invece nel momento in cui hai avuto una sconfitta militare, non è più un progetto, è una fuga. E la fuga si incanala verso le vie già aperte, che in questo caso sono quelle create dal traffico del flusso migratorio. Il problema non è solo che i terroristi possono transitare per la Libia, ma che si fermino per costituire piattaforme di attacco verso l’Europa». Gli Usa hanno presenza e quindi «capacità di lettura e conoscenza del teatro di Raqqa, che è una miniera di informazioni; noi l’abbiamo in Libia». La collaborazione è fondamentale per disinnescare questa minaccia.
La linea comune per la stabilizzazione del Paese è «sostenere il piano Onu di Salamé, con l’obiettivo di tenere le elezioni entro 2018». È un passo avanti importante, perché l’impressione iniziale era che l’amministrazione Trump puntasse piuttosto ad identificare l’uomo forte da sostenere, come il generale Haftar. Il ministro ha avuto l’impressione che gli Usa siano disposti a dare all’Italia «una delega», che non significa il loro disinteresse, ma la fiducia nella competenza di Roma.
Minniti ha definito la Libia «un Paese a instabilità controllata, dove comincia ad emergere in filigrana un possibile modello di gestione dei flussi migratori», basato sul controllo del confine marittimo e quello meridionale, e la presenza delle organizzazioni dell’Onu. «L’Iom ha fatto più di 20.000 rimpatri volontari assistiti, poco tempo fa sarebbe stato impensabile. Roma ha aperto il primo corridoio umanitario con Tripoli. L’idea è identificare in Libia chi ha diritto alla protezione internazionale». Anche sul piano dei diritti umani ci sono progressi: «È in costruzione un centro di accoglienza vicino Tripoli dedicato a coloro che hanno particolari fragilità, donne, anziani, bambini, per selezionarli in Libia e spostarli in Paesi terzi. Basta questo per dirmi soddisfatto? No. Prenderemo altre iniziative? Sicuramente sì. Però abbiamo accettato la sfida di non limitarci a denunciare una situazione inaccettabile, ma lavorare per cambiarla».
Minniti critica la superficialità con cui si lanciano gli allarmi sulla ripresa degli sbarchi: «Abbiamo chiuso l’anno con una riduzione del 34%, 62.000 arrivi in meno. È un dato importante, ma io stesso ho detto che non è strutturale. Se però non è strutturale un dato così imponente rilevato nel corso di mesi, come può esserlo quello di tre giorni?». Il ministro ad esempio si chiede come l’arrivo di un solo barcone dalla Turchia possa essere interpretato come l’apertura di una nuova rotta. Ammette che un problema esiste con la Tunisia, che «tra dicembre e gennaio ha vissuto il periodo più difficile della sua storia recente. Ma parliamo ancora di numeri molto piccoli, il 3 o 4% del totale».
I cambiamenti importanti stanno nell’annuncio di Frontex, che ha chiuso la missione Triton e aperto Themis, e nell’atteggiamento dell’Europa: «Sei mesi fa si parlava solo di hot spot e porti. L’idea era è fosse impossibile governare i flussi: l’unica soluzione era che l’Italia si attrezzasse ad accogliere i migranti, senza movimenti secondari. Vi siete dimenticati che ad agosto discutevamo dei carri armati al confine con l’Austria? Vi immaginate come sarebbe ora il rapporto con Vienna, se non avessimo governato i flussi migratori?».
Minniti ha discusso anche l’allarme per le interferenze russe nelle elezioni: «Ci difendiamo col massimo dell’attenzione, sapendo che è un’attività preventiva, perché non abbiamo notizia di una minaccia specifica. Ne avevamo parlato al G7 dei ministri degli Interni, dove per la prima volta abbiamo incontrato i 4 grandi provider Microsoft, Google, Facebook e Twitter. C’è la condivisione di una strategia comune, che ha trovato conferme».