La Stampa, 3 febbraio 2018
L’infinita attesa dei fornitori per i pagamenti delle Asl
Nel 2011 una Direttiva europea aveva intimato: entro due anni le Asl paghino i loro fornitori non oltre 60 giorni. Andatelo a dire a chi dall’Ospedale Mater Domini di Catanzaro aspetta in media 1.266 giorni per vedere onorata una fattura o alle aziende che attendono da 475 giorni che l’Asl di Crotone saldi. Basta scorrere le tabelle di Assobiomedica, l’associazione dell’industria bio-medicale, per capire quanto l’Europa sia ancora lontana, visto che in media si salda con 121 giorni di ritardo.
Medie, appunto, perché se Valle d’Aosta, Lombardia e Trentino Alto Adige se la cavano rispettivamente con 72 e 74 giorni, la Calabria impiega un anno, il Molise 227 giorni e la Campania 200. Mentre il Piemonte sfora con 125 giorni e la Toscana paga mediamente a 148 giorni.
Costi aggiuntivi
Certo, non sono più i 286 giorni di media nazionale del 2011, ma siamo ancora lontani dagli altri Paesi Ue, che entro due mesi pagano. E poi dietro quei pagamenti medi si nascondono fatture vecchie di anni, che diventa anche difficile farsi saldare. «La situazione negli ultimi tempi è un po’ migliorata ma sono passi avanti da lumaca», commenta il presidente di Assobiomedica, Massimiliano Boggetti. Che ci tiene a far capire come il ritardo non comporti solo un problema di liquidità ma anche di costi «che le imprese devono sostenere per organizzare il recupero. Per non parlare di quando si va al contenzioso legale o di chi il credito è costretto a scontarlo, affidandone il recupero a società esterne di factoring». E poi c’è lo split payment entrato in vigore lo scorso anno «che al danno aggiunge la beffa, perché ora gli enti pubblici versano direttamente l’Iva all’erario anziché ai fornitori, che una volta potevano almeno compensare con i pagamenti della stessa imposta».
Un motore ingolfato
Una situazione che non vivono solo i produttori di apparecchiature bio medicali, cose come tac, mammografi, risonanze. Ma anche farmacie e fornitori di beni e servizi vari. In tutto un mercato da oltre 50 miliardi di euro, che pure rappresenta una ricchezza per il Paese. Proprio pochi giorni fa Confindustria ha pesato il valore della “white economy”, l’industria della salute: 10,7% del Pil, 5,8% dell’occupazione nazionale e 7,1% delle esportazioni. Un’economia che tira, ma con il freno a mano tirato da disfunzioni e burocrazia, che impediscono di incassare il dovuto a tempo debito, facendo così mancare liquidità, magari per gli investimenti. Solo il settore del bio-medicale vanta crediti per 2 miliardi e 143 milioni. Ma se sommiamo forniture di farmaci, riscaldamento, mense, pulizie e quant’altro serve a far andare avanti Asl e ospedali, la sanità pubblica nasconde sotto il tappeto qualcosa come 22 miliardi e mezzo di debiti verso i fornitori, stima la Cgia di Mestre.
Un settore delicato
Soldi che è più difficile avere indietro rispetto ad altri committenti, perché spesso le casse delle aziende sanitarie sono vuote e non è possibile chiedere il pignoramento di immobili e apparecchiature sanitarie che servono a garantire la salute e la vita delle persone. Una situazione difficile soprattutto per le piccole imprese che hanno meno facilità di accesso al credito delle grandi e con le quali devono competere in un mercato fatto sempre più di grandi numeri, visto che, giustamente, gli acquisti ormai sono quasi sempre centralizzati.
Le colpe distribuite
Resta da capire il perché di questi tempi lumaca nel saldare le fatture, quando giocando con le stesse regole la Asl di Pordenone salda a 33 giorni, la Trieste 1 a 46, l’Ospedale Brotzu di Cagliari a 50, solo per fare qualche esempio virtuoso. Perché loro sì ed altre no lo spiega sempre Boggetti. «Da un lato ci sono Regioni che finanziano in ritardo le Asl, che però ci mettono del loro, perché molte non informatizzano i sistemi di pagamento e così non riescono nemmeno a confrontare una fattura con la bolla e l’ordinativo». Cose già viste in passato alla Asl Napoli 1, dove dietro ai ritardati pagamenti si celavano anche fatture saldate due o tre volte per la medesima fornitura. Storie di un’Italia che fatica a tenere il passo dell’Europa.