La Stampa, 3 febbraio 2018
La tentazione della Casa Bianca: un attacco preventivo contro Kim
È un clima tutt’altro che «decubertiano» quello che si respira alla Casa Bianca dinanzi al dossier nordcoreano. È sempre più forte – sembra – la tentazione di un attacco preventivo da parte dell’amministrazione di Donald Trump. A suggerirlo è il «New York Times», quando racconta la frustrazione del «Commander in chief» per la riluttanza del Pentagono a fornire più opzioni su possibili azioni militari contro Pyongyang. Il timore è che, dinanzi a tanta promiscuità bellica, Trump ceda alla tentazione di assestare un colpo a Kim Jong-un innescando una pericolosa escalation. La conferma, secondo il «Times», arriva da Victor D. Cha, esperto di questioni coreane e candidato alla guida dell’ambasciata Usa a Seul, scartato dal tycoon perché avrebbe tentato di dissuaderlo da azioni preventive. E a rilanciare è Henry Kissinger. «La tentazione di un attacco preventivo è forte, l’argomento è razionale», spiega il 94 enne ex segretario di Stato ai membri della Commissione servizi armati del Senato. «In ogni caso sarei molto preoccupato per una guerra unilaterale americana ai confini di Cina e Russia – prosegue Kissinger, che vanta un certo ascendente sulla Casa Bianca di Trump – senza il sostegno di una parte significativa del mondo, o almeno del mondo asiatico». Un monito quello del leggendario ex capo di Foggy Bottom ancora più calzante, con l’avvicinarsi dei giochi olimpici invernali di Pyeongchang, località sudcoreana a un tiro di schioppo (nel senso letterale) dal confine con la Corea del Nord. È vero che gli atleti di Pyongyang e Seul sfileranno assieme nel segno della distensione agevolata dalla provvidenziale diplomazia dello sport, dopo due anni di gelo a cavallo del 38 esimo parallelo. Ma il «buonismo» olimpico non convince Trump, il quale ieri ha sentito al telefono il collega sudcoreano Moon Jae-in e il premier giapponese Shinzo Abe, per confermare i comuni sforzi sul dossier nordcoreano. Ed è stato Trump a volere alla guida della delegazione a stelle e strisce, nella cerimonia inaugurale del 9 febbraio, il suo vice Mike Pence. Insomma pressioni, sanzioni e se necessario un raid chirurgico, è la dottrina del presidente. Dottrina non del tutto inopportuna, secondo alcuni osservatori come Harry Kazianis del Center for the National Interest fondato Richard Nixon, che di Kissinger fu il presidente. «Perché non distrarre Seul con le Olimpiadi e l’apertura al dialogo, così da indebolire il fronte americano? La gente impazzirà per i pattinatori nordcoreani e Kim avrà tempo e mano libera per riappropriarsi delle tecnologie», eludendo le sanzioni. Poi ad aprile, secondo l’esperto, il dialogo tra Sud e Nord entrerà in stallo e «un giorno ci sveglieremo con un nuovo test balistico nel bel mezzo del Pacifico, e questa volta forse non sarà un test».
Scenari di cui Trump fa un punto di forza, come ha ribadito ieri alla casa Bianca quando ha dato il suo personale benvenuto a otto defezionisti nordcoreani. Un altro monito inviato al giovane leader dopo quello del discorso sullo stato dell’Unione, durante il quale ha voluto tra gli ospiti d’onore, a fianco della First Lady Melania, un altro defezionista, Ji Seong-ho. Il quale all’applauso di Capitol Hill ha risposto mostrando le sue stampelle di legno, le stesse con le quali è fuggito dalle «atrocità» del regime, rendendosi protagonista di un’impresa eroica che va ben oltre le mirabili gesta dei giganti olimpici.