il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2018
Trenitalia sommelier ha scelto il vino di Vespa
Povero Vespa. Abituato alle apoteosi con i libri, best seller ancor prima di essere esposti sugli scaffali, viziato dalle retribuzioni da star, dai grandi numeri di ascolto televisivi e inebriato dalle riverenze che i potenti gli tributano nel salottino di Porta a Porta, come produttore di vini zoppica un poco. Qui non si parla di qualità del prodotto proveniente dai vigneti degli ampi possedimenti pugliesi del giornalista per la quale vale il latinorum del de gustibus. E neanche si tratta della sapienza enologica di cui Vespa è senza dubbio dotato avendola diffusa con autorevolezza per anni dalle colonne del settimanale Panorama che gli aveva riservato una rubrica fissa. Qui si esaminano le vendite, numeri e cifre, misura del giudizio schietto del mercato, rappresentato in questo caso dai viaggiatori dei treni, i clienti dei Frecciarossa.
Da questo autunno i capi di Trenitalia hanno deciso di offrire al banco dei bar e nelle carrozze ristorante (quelle poche rimaste, una trentina in tutto), il Bruno di Vespa, ritenuto il miglior rosso della casa vinicola. Ufficialmente l’acquisto è stato effettuato da Itinere, la società che gestisce la ristorazione sulle Freccerosse, ma Trenitalia era ovviamente informata e più che d’accordo. Alla domanda perché abbiano scelto proprio quel vino tra le centinaia e centinaia di prodotti anche di altissima qualità chiusi nelle botti italiane ognuno può dare la risposta che gli pare. Compreso quella che gli acquirenti abbiano voluto rendere omaggio al nome del famoso giornalista, ritenuto un elemento di richiamo nei confronti dei viaggiatori e quindi un traino sicuro per le vendite.
Il Bruno di Vespa è stato acquistato in una quantità non elevata, circa 2 mila bottigliette da 33 centilitri per un controvalore di non più di 5 mila euro. Doveva essere una fornitura d’avvio per valutare la risposta dei viaggiatori. I quali viaggiatori, dimostrandosi forse più spigliati di molti politici ipnotizzati nel salottino di Porta a porta, non si sono fatti ammaliare dal nome sull’etichetta e ne hanno comprato davvero pochino di Bruno di Vespa.
I conti li ha fatti Marco Canziani, direttore di Itinere, società con 1.700 dipendenti addetti ai Frecciarossa, branca italiana di una multinazionale francese quotata alla Borsa di Parigi che si chiama Elior, una delle tre più grandi del mondo con quasi 6 miliardi e mezzo di euro di ricavi nel 2017 e 114 milioni di utili, presente in Italia anche negli aeroporti (è la prima società di gestione della ristorazione negli scali) e sulle autostrade con il marchio My Chef. Gente che se ne intende, quindi.
Canziani non è entusiasta delle performance del Bruno di Vespa: “Ne avremo vendute 400 al mese di bottigliette, forse anche meno”. Cioè in media poco più di 10 al giorno su treni frequentati da centinaia di migliaia di viaggiatori. Una miseria, un tonfo che mette a dura prova il pronunciato ego enologico dell’imbattibile giornalista. Non essendoci spiegazioni pronte per il sorprendente fenomeno, non rimangono che le domande. Tipo: quel vino vale il prezzo a cui è messo in vendita? I 33 centilitri del Bruno di Vespa vengono venduti al bar dei Frecciarossa a 9 euro, 4 e mezzo a bicchiere, non proprio una cifra popolare. Oppure: forse del celebrato Bruno di Vespa la parte migliore è il nome?