Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2018
La scommessa balcanica dell’Unione
Poche capitali europee riflettono in modo eclatante come Sofia un antico multiculturalismo. Dalla terrazza dell’albergo Sense si stagliano all’orizzonte le cupole delle chiese ortodosse e i minareti delle moschee musulmane.
La Bulgaria, che si picca di essere la più vecchia entità statale al mondo, è all’incrocio di culture, tradizioni e religioni diverse, stretta tra il retaggio russo e il vicino turco. Mentre l’Europa si interroga sul futuro della moneta unica, il Paese ha imposto all’agenda comunitaria la stabilizzazione della grande penisola balcanica.
La regione che dall’Egeo e dal Mar Nero si spinge a Nord fino alla Slovenia e alla Croazia si è lasciata alle spalle la guerra jugoslava, terminata con gli accordi di Dayton del 1995. Ma la pace in questa parte d’Europa è un delicato equilibrio continuamente rimesso in discussione, sempre su un crinale incerto. A 20 anni dalla fine di un conflitto lungo e sanguinoso, le tensioni etniche ma anche territoriali sono solo sopite, negli animi mai dimenticate. Il contrasto tra la Slovenia e la Croazia sul confine tra due Paesi dell’Unione europea è solo la controversia più clamorosa.
Incontrando un gruppo di giornalisti bruxellesi nei giorni scorsi, il primo ministro bulgaro Boyko Borissov ha definito i Balcani «una regione che crea problemi», strizzando l’occhio alla vecchia battuta di Winston Churchill per cui «i Balcani creano più storia di quanto non ne consumino». Ha spiegato che l’obiettivo del suo governo, presidente di turno dell’Unione in questo primo semestre dell’anno, è di promuovere l’integrazione della penisola. «Non vogliamo promettere ai Paesi un’adesione rapida. Questa avverrà solo in base al merito di ciascuno. Vogliamo però che siano meglio integrati tra loro e con l’Europa».
L’obiettivo dell’establishment bulgaro è almeno doppio. Da un lato, vuole raffreddare le tensioni politiche che continuano a segnare la vita quotidiana tra i Paesi della penisola, promuovendo i legami infrastrutturali. Dall’altro vuole liberare la Bulgaria dall’isolamento geografico ed economico in cui si trova rispetto al resto dell’Unione. Insieme alla Grecia, il Paese è confinato nella parte sud-orientale del continente. In auto, Sofia dista da Tirana poco più di 500 chilometri, ma il viaggio è di otto ore. I 600 chilometri per raggiungere Sarajevo richiedono oltre 9 ore di macchina.
«La nostra parola d’ordine – spiega la ministra degli Affari Esteri Ekaterina Zakharieva durante un recente incontro nella capitale bulgara – è connettività. Vogliamo migliorare le connessioni infrastrutturali e digitali: nei trasporti ferroviari, nei collegamenti aerei e autostradali, nel settore dell’energia e dell’informatica». Nel 2017, l’Unione europea ha finanziato alcune vie di comunicazione stradale, fluviale ed energetica: tra la Bosnia-Erzegovina e la Serbia; tra la Serbia e la Bulgaria; tra la Bulgaria e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia; e infine tra la Bosnia-Erzegovina e la Croazia per facilitare l’accesso del primo Paese al Mediterraneo.
Più di altre capitali, Sofia, ottomana fino al 1878, tocca con mano le perduranti tensioni etniche. La pace è tornata, ma i contrasti sono ancora evidenti. A Mostar, in Bosnia-Erzegovina, il ponte sulla Neretva è stato ricostruito, anche grazie a denaro italiano; ma sui due lati del fiume le diverse comunità del Paese continuano a guardarsi in cagnesco. A Dubrovnik, in Croazia, una mostra fotografica di Bozidar Gjukic raccontava ancora di recente il dramma della guerra. Nonostante la mediazione di Bruxelles, la Serbia non vuole riconoscere il Kosovo, l’ex regione serba popolata da musulmani. La Grecia si oppone al nome del vicino macedone. Per non parlare delle diatribe frontaliere: se ne contano ben sette. Si capiscono quindi le preoccupazioni ventilate a Sofia.
Nel promuovere l’integrazione tra i Paesi balcanici, così come a lungo termine tra questi e i Ventotto, la Bulgaria può contare sul sostegno dei tre Paesi che la seguiranno nel guidare l’Unione: l’Austria, la Romania e la Croazia. La stessa Commissione europea è una alleata. L’esecutivo comunitario dovrebbe pubblicare la settimana prossima un aggiornamento della sua strategia dedicata ai Balcani occidentali. Secondo le informazioni raccolte a Bruxelles, la relazione confermerà che a breve l’allargamento dell’Unione non è all’ordine del giorno. La questione è troppo controversa in molti Paesi membri.
«Vogliamo tratteggiare una prospettiva da qui al 2025 – spiega un diplomatico europeo –. Al di là dell’adesione che giungerà solo sul merito di ognuno, l’obiettivo della Commissione è di confermare che il futuro di questi Paesi è in Europa, ma che nel frattempo bisogna lavorare alacremente per riformare sistemi economici e assetti istituzionali». In buona sostanza, oltre a nuovi progetti infrastrutturali, «l’esecutivo comunitario vorrà contribuire a un graduale avvicinamento dei Paesi balcanici all’acquis communautaire».
Da un punto di vista giuridico, il Montenegro, la Serbia, l’Albania e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia sono Paesi-candidati; il Kosovo e la Bosnia-Erzegovina ambiscono a diventare tali. Numerosi specialisti sostengono che il Montenegro è il Paese che in questi anni ha fatto maggiori sforzi. La Serbia invece deve affrontare difficili relazioni con il Kosovo e perduranti dubbi sullo stato di diritto nel Paese. Gli altri quattro Stati sono in ritardo nel loro percorso verso l’adesione all’Unione. «Eppure, è cresciuta la maturità politica necessaria perché i Paesi collaborino tra loro», osserva il diplomatico europeo.
In maggio, il governo bulgaro ospiterà un vertice a Sofia al quale parteciperanno i Ventotto Paesi dell’Unione così come i sei Paesi dei Balcani occidentali. È il primo incontro di questo tipo dopo quello che si tenne a Salonicco nel 2003. L’interesse europeo va oltre il desiderio di venire incontro alla Bulgaria nel tentativo di promuovere i legami commerciali per raffreddare le tensioni politiche in una regione che dal 2017 è ufficialmente una Area economica regionale. Nota Pierre Mirel, ex funzionario della Commissione europea e specialista della penisola balcanica: «L’appetito delle potenze ri-emergenti nei Balcani è il riflesso delle loro visioni strategiche ed economiche».
La Cina – per la quale la penisola è un passaggio obbligato nel trasporto dei propri prodotti dal porto del Pireo (acquistato nel 2016) al cuore dell’Europa – ha firmato 22 accordi di cooperazione nella regione. La Russia cavalca i legami ortodossi in Serbia e in Montenegro, ed è stata accusata di interferenze nelle recenti elezioni macedone. La Turchia finanzia l’apertura di moschee e di scuole pur di sostenere i correligionari musulmani. Nell’ottobre scorso, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha concluso la sua visita in Serbia con un soggiorno trionfale a Novi Pazar, una storica città dell’impero ottomano.
In questo contesto, a Bruxelles la nuova strategia per i Balcani occidentali è ritenuta l’occasione per «riempire lo spazio politico», «meglio comunicare la presenza europea nella regione» e firmare con i Paesi balcanici «una agenda condivisa» nel campo dell’economia, delle migrazioni, della sicurezza (con un occhio alle scuole coraniche sbocciate in tutte le aree musulmane). Il bilancio comunitario 2014-2020 ha messo a disposizione 4 miliardi di euro da dedicare ai sei Paesi della penisola. L’obiettivo è di confermare se non aumentare lo stesso ammontare anche nel periodo 2021-2027.
Per l’establishment comunitario coltivare il rapporto con la regione è anche un modo per dare una risposta alla decisione britannica di lasciare l’Unione: mentre il Regno Unito esce dalla Ue, altri Paesi lavorano per entrarvi. In uno dei suoi frequenti incontri con i dirigenti dei sei vicini balcanici, l’Alta Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha spiegato in dicembre che «il 2018 potrebbe offrire una occasione unica per effettuare progressi irreversibili verso l’integrazione europea». In una Sofia segnata dal prodotto interno lordo pro capite più basso dell’Unione si capisce bene perché dal futuro della penisola balcanica dipenda anche il futuro della Bulgaria.