La Verità, 2 febbraio 2018
Ritratto di Giulio Tremonti, il ministro più dispettoso di sempre rimasto senza candidatura
Stavolta al settantenne Giulio Tremonti è andata male. Nessuno ha voluto candidarlo per le elezioni di marzo. Esce così di scena dopo 6 legislature (1994-2018) un uomo mal sopportato. Se ne va un personaggio dei record. È stato il più longevo ministro dell’ Economia: 8 anni complessivi nei 4 governi Berlusconi. Solo il dc, Emilio Colombo, ha fatto altrettanto mezzo secolo fa ma quando il dicastero, semplificato, era solo del Tesoro. Tremonti è anche l’ uomo che ha detto più «no» in Consiglio dei ministri ai colleghi che sollecitavano denaro per i loro settori.
All’apice della crisi, nel 2011, strinse i cordoni della borsa erariale come Shylock facendosi odiare dal centrodestra. Per alcuni salvò l’Italia, per altri la mise in balia di Mario Monti. In ogni modo, ha continuamente mandato al diavolo lo stesso premier che voleva abbassare le tasse per ridarsi il lustro perduto con le starlette che si stropicciava. Il Berlusca non gli ha mai perdonato i dinieghi. Di lui diceva: «È una testa di cactus», per la spinosità.
Infine, Tremonti è stato il ministro più dispettoso che si ricordi. Nato con diversi complessi, tra cui la timidezza, li ha superati con la presunzione. A ogni sorgere del sole, alimentava il proprio ego strapazzando il prossimo. Il suo diletto era Renato Brunetta, collega di governo con delega alla pubblica amministrazione. I due si conoscevano da una vita, provenendo entrambi dal Psi.
Brunetta, docente di economia, si premurava sempre di ricordare che Tremonti non era un economista ma un laureato in legge. Sottintendendone l’imperizia ministeriale. Tremonti ribatteva che gli economisti sono dei fessi e che Brunetta ne era un perfetto esempio. Un giorno, in diretta tv, Renatino stava illustrando un proprio provvedimento, quando si udì Tremonti, che gli stava accanto, dire: «È proprio un cretino». Non si era accorto che aveva il microfono acceso. Giulio fece in tempo a dire ancora un paio di volte «è un autentico scemo» prima di capire che l’Italia era in ascolto. A telecamere spente, Brunetta fece giustamente una scenata. Giulio riconobbe la colpa e i due si abbracciarono.
Un’altra volta però, in una circostanza identica in cui aveva torto, quando dopo la lite Brunetta tese la mano per fare pace, Tremonti ritirò la sua, sibilando: «Se ti avvicini, ti prendo a calci in c…». Sempre a causa del suo senso di superiorità, Giulio litigò in consiglio dei ministri pure con Stefania Prestigiacomo.
Come tutti, anche la siracusana Stefania chiedeva più soldi per il proprio ministero (Ambiente), quella volta con veemenza. Tremonti, inalberando la sua migliore faccia da schiaffi, replicò: «Stefania, hai un modo così siciliano di ragionare..». Quella, che è altissima, si protese sopra il tavolo circolare per menarlo. Poi disse: «Non posso. Sono una signora». E lasciò la riunione.
Ora, a escluderlo dalla lizza elettorale, è il Cav che si prende così la rivincita. Ecco come stanno le cose. Tremonti, in vista delle elezioni, aveva fondato nell’autunno dell’anno scorso un proprio partitucolo con cui presentarsi. Era l’espediente già usato nel 2013. Allora si chiamava 3L ed era composto solo da lui. Riuscì, però, ad allearsi con la Lega, grazie alla vecchia amicizia con Umberto Bossi, e a farsi eleggere al Senato. Questa volta ci ha riprovato con Vittorio Sgarbi.
Una notte, al telefono, i due si fecero una chiacchierata mescolando, in base alle rispettive inclinazioni, economia e arte, soldi e bellezza, gin e cognac. All’alba il nuovo partito era delineato e aveva un nome: Rinascimento. In un baleno, scrissero un libro a 4 mani dandogli quel titolo e spacciandolo per un programma di governo. Con questo supporto speravano di essere eletti entrambi.
Un paio di settimane fa, invece, Sgarbi si è accordato alla chetichella col Berlusca che lo ha messo in lista con Fi, dandogli un seggio sicuro, a patto però di fargli sparire Tremonti dagli occhi. Vittorio ha eseguito senza fare una piega. Rinascimento è stato gettato alle ortiche e Giulio se l’è presa in saccoccia.
La Lega d’altra parte, memore del passato, l’ha anche lei mollato. Infatti, nel 2013, Tremonti, dopo averla sfruttata per farsi eleggere, si mise in proprio aderendo a un altro gruppo parlamentare. Più per spirito d’ indipendenza che per inclinazione al tradimento. In politica, però, i salti della quaglia, prima o poi si pagano.
Con un salto della quaglia era anche cominciata la carriera politica di Tremonti. Siamo nel lontano 1994, anno del trionfo di Silvio Berlusconi. All’ epoca, Giulio era un brillante tributarista con un proprio studio. Professionisti erano anche i suoi avi, originari del bellunese ma stabiliti a Sondrio, in Valtellina. Poiché la famiglia era liberale, e lui un bastian contrario, s’ incaponì per i socialisti.
Simpatizzava per l’ala sinistra, quella vicina a Franco Reviglio, ministro delle Finanze degli anni ’80, insieme ad altri promettenti giovanotti spocchiosi: Vincenzo Visco (futuro ministro delle tasse, detto Dracula), Domenico Siniscalco, Franco Bernabé, Giuliano Amato, ecc. Nel 1994 questo mondo era già scomparso, piallato da Mani pulite.
Così, Giulio fu eletto alla Camera col Patto Segni che, rispetto al Berlusca approdato colà anche lui, rappresentava la sinistra. Messo però piede a Montecitorio, Tremonti fece all’ istante il salto carpiato in grembo al Cav, passando disinvolto da un emisfero politico all’ altro. In premio, il giorno stesso, ricevette il ministero dell’ Economia. Cominciò così il suo lungo monopolio sulla politica economica della destra.
Di destra fece alcune cose, di sinistra molte altre, fu essenzialmente eclettico, spesso lunatico. Come un liberista, ha abolito tasse e fatto condoni ma si è definito colbertiano (da Jean-Baptiste Colbert), ossia statalista al cubo come il ministro del Re Sole, Luigi XIV. Ha usato con disinvoltura la Guardia di finanza. Un giorno organizzò un arrembaggio dei militari sullo yacht di Flavio Briatore, forse per indispettire il Cav che gli è amico.
Una sceneggiata alla James Bond che affossò per un paio d’ anni la nautica italiana. Poi, però, proprio per antipatia verso i finanzieri si impantanò in uno scandaletto. Fu infatti accusato di avere preso casa nel centro di Roma da un costruttore. Il sospetto era che costui fosse poi stato favorito in appalti. Per giustificarsi, Tremonti disse di avere scelto l’ appartamento perché nella caserma della Gdf dove era ospitato in precedenza si sentiva spiato. Mai era accaduto che un ministro erariale gettasse un’ ombra livida sull’ Arma che era al suo servizio. La vicenda della casa si concluse con il patteggiamento del ministro e 40.000 euro di multa.
Anche sull’ Europa, il Nostro è ondivago come una paperella nella Jacuzzi. Pubblicamente, si pavoneggiava a Berlino e Parigi in veste di garante dell’ ortodossia Ue rispetto al Cav unfit. In camera caritatis, criticava invece le ostinazioni di Angela Merkel sui vincoli di bilancio, il liberismo spinto, le frontiere senza dazi. Al nocciolo, infatti, Tremonti è patriota e sovranista. Un tipo all’ antica della sinistra non comunista, del ceppo di Francesco Crispi, Benito Mussolini, Bettino Craxi. Sissignori, tale è. Con questo omaggio, lo lasciamo alla sua nuova vita senza poltrone.