il Giornale, 2 febbraio 2018
Dopo il Big Ben chiude Westminster: 4 miliardi per non bruciare mai più
Londra Era dai giorni bui della seconda guerra mondiale, da quando negli anni ’40 e ’41 del secolo scorso i cieli di Londra furono teatro della battaglia di Inghilterra tra la Raf e la Luftwaffe, che il Parlamento inglese non lasciava Westminster. Ieri, dopo 77 anni, la Camera dei Comuni ha dato il via libera a un importante piano di ristrutturazione dell’edificio e dovrà quindi spostarsi in una nuova sede. Il progetto, che dovrà essere approvato anche dalla Camera dei Lord da cui non si attendono tuttavia sorprese, avrà un costo di oltre 4 miliardi di sterline e dovrebbe prendere avvio non prima del 2025. Alcuni anni dopo la fine prevista dei lavori di restauro del Big Ben, attualmente in corso e che dovrebbero concludersi nel 2021.
Nel voto di ieri si sono contemplate anche alcune ipotesi alternative al trasloco totale, per far sì che le Camere continuassero a riunirsi nell’attuale edificio. Queste soluzioni, tuttavia, avrebbero fatto aumentare drammaticamente i costi dell’impresa, che già così sono piuttosto consistenti. E proprio per questo il governo di Theresa May aveva presentato una mozione per rinviare ogni decisione a dopo il 2022: con le quotidiane polemiche sulla Brexit e sui suoi costi, il premier voleva fortemente evitare l’aprirsi di un fronte a forte rischio di incendio populista. «Il tempo per parlare è finito, dobbiamo fare la cosa giusta», ha detto invece la deputata conservatrice Anna Soubry, invitando i colleghi a votare contro il proprio stesso leader. «Non posso credere che sto per dire questa cosa, ma ciascuno voti assolutamente leave», ha dichiarato non senza ironia la stessa Soubry, sostenitrice del remain nel dibattito sulla Brexit. Detto fatto, a dimostrazione ulteriore dell’instabile presa politica che May vanta oggi sul suo partito, più che mai diviso tra i fautori di una hard Brexit e quelli che invece vorrebbero un compromesso con Bruxelles.
La Camera dei Comuni si dovrebbe quindi spostare nella Richmond House, a Whitehall, che è attualmente sede del Dipartimento della Salute e del Sociale. La Camera dei Lord, invece, dovrebbe accasarsi al Centro Conferenze Queen Elizabeth II. Entrambi i luoghi sono a pochi passi da Westminster e non presentano i molti acciacchi da cui è oggi assillato il loro più famoso vicino: tubature con continue perdite, un sistema elettrico troppo vecchio per i tempi attuali che anche ieri ha lasciato al buio i parlamentari per qualche tempo, rivestimenti d’amianto, poca luce, riscaldamento inadeguato e mancanza di accessi per disabili.
E su tutto, ricordando la storia del sito Unesco, ben 60 incidenti negli ultimi 10 anni che si sarebbero potuti trasformare in un incendio colossale. Come quello che divorò Westminster nel 1834, immortalato in molte opere di Turner che assistette attonito dall’altra parte del fiume, in compagnia di molti concittadini. Allora si salvò dalla catastrofe solo la parte più antica del complesso, la Westminster Hall, risalente all’undicesimo secolo. E da lì si ripartì per la ricostruzione dell’intero parlamento che termino’ nel 1870.
Un incendio potrebbe «propagarsi nell’edificio più velocemente di quanto molti di noi possano correre», ha ammonito il parlamentare Chris Bryant, laburista, a testimonianza del fatto che il voto di ieri è stato trasversale: 236 voti a 220. I parlamentari contrari all’opera si sono appellati all’incertezza relativa ai costi e alle tempistiche del progetto; dubbi che, in tempi di ristrettezze finanziarie post Brexit e dopo il colossale fallimento del gigante delle costruzioni Carillion, dovranno essere dissipati da una commissione ad hoc che sarà chiamata a vigilare sul rispetto del piano.