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 2018  febbraio 01 Giovedì calendario

C’è chi l’ha troppo piccolo ma c’è chi l’ha troppo larga

Sto per scrivere di peni piccoli, ma non è la caratura della campagna elettorale ad ispirarmi: il punto è che non possiamo lasciare a Melania Rizzoli (una donna) l’esclusiva su un argomento che, pure, ha dimostrato di saper maneggiare con tutta l’esperienza che una vita da medico le permette. Sono certo che al suo articolo di ieri («Giovanotti ossessionati: ce l’hanno piccolo») altrettanti colleghi di Libero potrebbero replicare con più competenza di me, ma al solito, di fronte ai temi civili, preferiscono dedicarsi alla politica, nel loro piccolo: e sia, mi sacrifico io, al rischio di sentirmi professionalmente sottodimensionare. 
È anche una questione di orgoglio maschile. Che ne sa la Rizzoli? Cioè: ne saprà moltissimo (al pari di altre firme femminili: non voglio fare discriminazioni) e però che ne sa, la Rizzoli, di quel periodo tardoadolescenziale in cui noi tutti (ma tutti, dico tutti, proprio tutti) abbiamo temuto di averlo piccolo, a parte pochi proboscidati? 
Le sbirciate disinvolte, i confronti da spogliatoio, la demenziale convinzione che più grosso ce l’hai e più maschio sei: non è un’ossessione di questa generazione, non c’entra internet, è una costante degli homines sapientes da quando inventarono l’abaco. «Fuori spavaldi, dentro insicuri» lo siamo stati tutti: ma che ne sa una donna, che semplicemente aveva altri problemi e dilemmi? 
LA LEVA 
La Rizzoli parla di una generazione «cresciuta dopo l’addio alla visita di leva, la quale, salutato il pediatra, risulta latitante e in fuga da qualsiasi medico»: come se non fosse sempre stato così, visto che durante la visita di leva ti davano al massimo due pugnetti sul petto («sei sano») e il massimo approfondimento era chiederti «ti droghi?» (io risposi di sì). 
Poi cita il ritornello dei «padri assenti» (che peraltro, osservo, si alterna a quello dei padri troppo presenti e troppo amici) ai quali i giovani virgulti non mostrano più il pene (disdetta) e poi descrive, appunto, l’ossessione delle dimensioni, il timore di essere inadeguati, inferiori alla norma, il confronto segreto con gli amici, il possibile disagio psicologico che può scivolare verso la fobia e la straclassica ansia da prestazione, altra invenzione come minimo di Adamo. Ma è sempre stato così. Cita pure, la Rizzoli, la differenza con tante ragazze che spesso vengono sospinte dal ginecologo direttamente dalla madre, mentre i ragazzi probabilmente conosceranno l’andrologo solo dopo i cinquanta e cioè con la prostata già scarburata: vero, ma è sempre stato così, si rassegnino gli andrologi che hanno promosso l’ennesimo convegno sui giovani complessati da cui la Rizzoli ha attinto. 
RASSICURAZIONI VANE 
Insomma, ora possiamo anche chiamarla “dismorfopenofobia” (già il pronunciarlo fa afflosciare) ma qui non si reinventa nulla, tantomeno le insufficienti rassicurazioni da settimanale femminile che da sempre circolano sull’argomento: genere «ma no, è normale», anche se ce l’ha lungo due centimetri, o ancora «è stato bellissimo lo stesso» detto da lei prima che scoppi a piangere. Domanda: è internet che fa la differenza? Meglio: il perenne confronto con certe terze gambe di youporn.it sta peggiorando le cose? Può essere, ma non ci credo: noi avevamo i giornaletti (anche quelli li abbiamo guardati tutti) e ai tempi miei c’era già John Holmes coi suoi “30 centimetri di dimensione artistica”, roba da ritirarsi dalla carriera. Se il messaggio dev’essere “ragazzi, andate dall’andrologo” mi sta anche bene, perché in effetti non ci vanno, ma cercare relazioni tra l’odierno timore del pene piccolo e la virulenza di Gomorra non pare necessario, e anche sul massiccio ricorso ai vari viagra da parte dei giovani, come dire, i medici si rassegnino: il Viagra è il farmaco più rivoluzionario della Storia e serve ufficialmente alle disfunzioni erettili di chiunque le abbia, che siano fisiologiche da anziani o psicologiche da giovanissimi. E sarà sempre così anche questo, personalmente non vedo nessun «quadro sconcertante». 
I COMPLESSI 
Ma a Melania Rizzoli, infine, vorrei dire qualcosa a cui le donne in genere non pensano mai. Da una generazione all’altra, il problema delle dimensioni-èvero-selopongonosoprattutto gli uomini coi loro complessi e i loro discorsi da palestra. Ma anche le donne possono avere un ruolo nell’accrescere i complessi maschili: la cattiveria non ha sesso. Il punto vero e sottaciuto, però, è che gli uomini negli anni tendono a rassicurarsi e tendono ad accettarsi per quello che sono: ma a molte donne succede il contrario, e perchè? Risposta: perché quello delle dimensioni (vaginali) diventa un problema femminile. In generale non serve essere andrologo per saperlo la giusta dimensione è una questione di proporzioni reciproche: a ogni uomo potrà esser capitato, voglio dire, di sentirsi superdotato con una tizia e poi appena sufficiente con un’altra. Spesso sono sensazioni, ma tante volte non è che l’uomo ce l’ha piccolo, è lei che ha la fossa delle Marianne. È anche naturale. Una pigmea probabilmente non ce l’ha come una lettone di uno e novanta, anche la lunghezza vaginale è variabilissima: sicché, se sovradimensionata, cioè anormale, finisce che l’anormale sembra lui. Per questo negli Stati Uniti va di moda la ginnastica vaginale: a parte il problema del parto, c’è il problema di non sembrare troppo usate, anche perché la vita sessuale delle donne si allunga: almeno quella. 
Ecco, a proposito: posto che i rimedi “enlarge your penis” sono tutte truffe, i complessati lascino perdere anche le favole sulla chirurgia allunga-pene di cui ogni tanto si fantastica: siamo ancora al medioevo, sono supplizi quasi sperimentali e dolorosissimi, pieni di complicanze: se va bene lo allungano di un centimetro e mezzo dopo sei mesi di stop, e possono anche aumentare la circonferenza, ma di poco. Confesso: anch’io, anni fa, pensai di rivolgermi a un chirurgo per modificare le mie inadeguate dimensioni. Volevo farmelo ridurre. Sentire una donna urlare dal dolore non è mai piacevole.