la Repubblica, 2 febbraio 2018
Luca Zingaretti: «Amo Montalbano mi sorprende ancora»
ROMA Livia è bellissima vestita da sposa, la polizia è in alta uniforme, il sindaco aspetta Montalbano nel gazebo sulla spiaggia.
Catarella agitatissimogli telefona: “Dottore, dottore, aspettiamo solo lei”. Il commissario arriva trafelato. «Questo matrimonio non s’ha da fare» grida Mimì Augello nel momento fatidico in cui si dovrebbe tacere per sempre.
«Ti ricordo che Livia l’ho vista prima io... Ci sono cose nuove».
«Che t’importa Salvo» sorride la sposa «sei tu il mio amore».
«Amore? Amore una minchia» protesta Montalbano. È stato un sogno rivelatore, ma al risveglio è interdetto: quella che ha provato è pura gelosia. Nei due nuovi episodi della serie, La giostra degli scambi – con un fascinoso Fabrizio Bentivoglio tradito da una giovane amante – e Amore (il 12 e il 19 su Rai1), Andrea Camilleri esplora i sentimenti. Il commissario interpretato da Luca Zingaretti, che indaga sulla fragilità umana e su sé stesso – e che piace anche al capo della Polizia, Franco Gabrielli – non fa sconti.
Zingaretti e Montalbano, come siete cambiati?
«È cambiato il mondo che ci circonda. Montalbano invece è rimasto sé stesso. Diciannove anni fa ero un po’ più giovane, magari meno felice ma più giovane».
La serie debuttò su Rai2.
«Era un prodotto molto alto, il pubblico l’ha capito. Quando è sbarcato su Rai1 non si è più fermato. Il produttore Carlo Degli Esposti prese me, che non ero nessuno, non ero un nome, e mi ha difeso. Allora non c’era Sky che investe sui giovani attori».
Le piace ancora interpretarlo?
«Sia al cinema che in tv scelgo solo in base a ciò che mi piace. Quando ho portato a teatro The pride, storia gay, i miei collaboratori erano preoccupati per le reazioni del pubblico, ma io ho instaurato col mio pubblico un rapporto di fiducia. La furbata non mi appartiene. Nel film Thanks for vaselina di Gabriele Di Luca faccio un trans. Il privilegio è essere libero di scegliere».
Però ha temuto anche lei di rimanere ingabbiato in Montalbano, la “sindrome del commissario Cattani” di Placido.
«Nel 2006 avevo pensato di lasciare, per la regola che è meglio uscire di scena tra gli applausi.
Meglio cinque minuti prima che dopo. Mi sbagliavo. Montalbano mi mancava, e sono fortunato perché continua a sorprendermi».
Sogna sempre di diventare regista?
«Certo. Al cinema se vedi un bel film è merito di chi ha saputo raccontarti la storia. Quando ho iniziato io c’erano Pierino e i poliziotteschi, oggi i ventenni hanno tante di quelle opportunità».
Autori preferiti?
«Mi piace Virzì, la felicità di scrittura di Paolo Sorrentino, un talento unico. E vorrei lavorare con Ferzan Ozpetek».
Sarà al fianco di suo fratello Nicola alle elezioni?
«Un politico in famiglia basta e avanza. Ma sono basito dalla capacità dei politici di arruolare gente che degli argomenti di cui dovrebbe occuparsi non capisce niente. Poi noto che nei talk show non si dibatte sul tema stabilito ma è la lite che diventa il tema».
Camilleri indaga sulle conseguenze dell’amore: lei che pazzie ha fatto?
«Tante. Danno un senso alla vita».
Però Montalbano vive il suo matrimonio come un incubo.«Tutti gli incubi sono desideri nascosti. Il rapporto con Livia è complesso, ma è vero amore».
La serie fa ascolti record, cosa colpisce il pubblico?
«Montalbano ti porta nel mondo dei tuoi nonni, dove non ci sono compromessi. E a noi piace questa chiarezza. Poi c’è la capacità narrativa di Camilleri che racconta gli archetipi: la vita la morte le passioni. Dietro i gialli c’è un impianto filosofico».
Ci sarà un aspetto del commissario che non approva.
«Nel Montalbano letterario il fatto che fumi. Per il resto mi piace tutto anche se non sono come lui.
Io ho famiglia, Salvo è un solitario e ama vivere così».
Se lo incontrasse che gli direbbe?
«Smetti di fumare perché fa male».
A Camilleri, gran fumatore, ha provato a dirlo?
«Non oserei mai».