la Repubblica, 2 febbraio 2018
Così la terapia genica ha fermato la leucemia
ROMA Dopo tre anni passati fra chemio e trapianto di midollo, il bambino, 4 anni, malato di leucemia, ha ricevuto l’iniezione di “super cellule” e ha detto: «Tutto qua?». I suoi medici si sono scambiati un sorriso.
L’infusione delle cellule sarà durata pochi minuti, ma dietro per il Bambino Gesù ci sono stati tre anni di lavoro sette giorni su sette e un investimento da svariate centinaia di migliaia di euro nel settore più innovativo dell’oncologia di oggi. Che ovviamente sta scatenando l’appetito di Big Pharma.
Parliamo di Car-T, la terapia genica applicata alle cellule del sistema immunitario per “risvegliarle” e indurle ad aggredire il tumore. Ricevuta l’infusione il 4 gennaio, il bambino è stato dimesso dopo pochi giorni. Ora va in ospedale solo per i controlli.
«Praticamente era cresciuto da noi» raccontano i medici.«A oggi nel suo organismo non c’è più traccia della leucemia linfoblastica acuta con cui aveva combattuto per tre anni» spiega Franco Locatelli, direttore dell’onco-ematologia nell’ospedale pediatrico romano.
«Le cellule ingegnerizzate hanno funzionato, aggredendo quelle della malattia. Però è troppo presto per parlare di guarigione.
La parola giusta è remissione».
Di certo, con il Bambino Gesù, la terapia anti cancro Car-T è sbarcata in Italia (che è anche fra le primissime in Europa). Per la prima volta questa terapia salvò la vita a una bambina malata di leucemia in America nel 2012 (la piccola pioniera fu anche ricevuta da Obama come portabandiera della medicina di precisione). E mentre ieri mattina l’ospedale romano dava la notizia del bimbo trattato, il secondo paziente di leucemia linfoblastica acuta – un 17enne ligure – era in reparto per l’infusione. «Sapeva tutto dell’importanza della sua cura» racconta la sua dottoressa. «È diventato un esperto». Nella lista d’attesa c’è poi un 12enne di Zurigo. Ma fra dieci giorni al Bambino Gesù è previsto un salto ancora più ambizioso: «Tratteremo una bambina con il neuroblastoma» annuncia Locatelli. Si tratta di un cancro del sistema nervoso ed è la prima volta che Car-T si cimenta con un tumore solido, diverso da quelli del sangue. E se Big Pharma facesse al Bambino Gesù un’offerta che non si può rifiutare? «La nostra è una ricerca accademica» alza la mano Locatelli. «La sperimentazione nelle fasi uno e due avverrà fra le nostre mura». È per questo, anche, che oggi i corridoi bianchissimi della “fabbrica delle cellule” del Bambino Gesù brulicano di attività. Qui, alle spalle della basilica di San Paolo, in camere pulite nelle quali si può entrare solo bardati da astronauti, i linfociti dei pazienti vengono ingegnerizzati nel loro Dna.
Armati per attaccare il cancro, sono poi reinfusi e sguinzagliati nel sangue. «Ci siamo messi al lavoro all’istante, quando abbiamo sentito della bambina guarita nel 2012» spiega il direttore scientifico del Bambino Gesù, Bruno Dallapiccola. «Le istituzioni ci hanno aiutato molto: Airc, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, Ministero della Salute e Regione Lazio».
Le mani e il cervello, in questa operazione, li hanno messi un gruppo di 35-40enni ritornati dall’America intorno al 2014.
«Studiavamo al Baylor College di Houston, uno dei luoghi in cui Car-T è nata» racconta Concetta Quintarelli, che ha visto nascere le “super cellule” fra le sue mani.
«Locatelli ci ha reclutato a Roma e ci ha chiesto quanto tempo ci servisse. Cinque anni, abbiamo risposto. E lui: Non vedete i pazienti qui fuori? Ho guardato mio marito (e collega) Biagio De Angelis e abbiamo pensato al nostro bimbo. Tre anni, abbiamo promesso».
E tre anni sono stati. Ignazio Caruana, anche lui biotecnologo, era maestro elementare a Monopoli. «Una bambina della mia classe morì di leucemia. Iniziai a farmi delle domande e mi iscrissi a biotecnologie a Pavia, dove insegnava Locatelli. Lo rincontrai anni dopo a un congresso negli Usa, dove mi stavo specializzando su Car-T. Cominciavo a ricevere delle belle offerte di lavoro, ma lui mi chiese di venire a Roma». A dicembre l’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato la terapia del Bambino Gesù. Il bimbo è stato sottoposto a una sorta di dialisi che in un’oretta ha prelevato i linfociti dal suo sangue. «Congelati a -200 sono stati portate qui, nella fabbrica delle cellule» racconta Franca Fassio, responsabile della struttura da mille metri quadri. I linfociti sono stati messi in contatto con dei virus, che hanno inserito nel loro Dna due geni. Uno per insegnargli a riconoscere e attaccare le cellule della leucemia.
Il secondo è un gene suicida: se nel sangue la battaglia per debellare la malattia dovesse diventare troppo intensa, causando un’infiammazione pericolosa, basterà iniettare un farmaco e attivare il gene suicida. A malincuore, le super-cellule procederebbero all’autodistruzione.