la Repubblica, 2 febbraio 2018
May fa la dura sui cittadini Ue per sfuggire alla congiura Tory
LONDRA «I am not a quitter». Non sono una che si arrende. La battuta di Theresa May, pronunciata nel corso della visita di questi giorni in Cina, è lapidaria. Si riferisce agli attacchi frequenti che riceve da tutte le parti: compresa la propria parte, il partito conservatore. E riecheggia un motto di Margaret Thatcher, l’unica donna che l’ha preceduta a Downing Street: «The lady is not for turning», non ho la retromarcia. Era il 1980. La lady di ferro rifiutava di cambiare rotta sulla liberalizzazione dell’economia. La sua erede, viceversa, cambia direzione di continuo. L’ultima giravolta arriva appunto da Pechino, dove la premier fa un annuncio che mette a soqquadro il negoziato sulla Brexit: «Nella fase di transizione, gli immigrati europei non godranno degli stessi diritti di oggi». La dichiarazione suscita reazioni furibonde. «I diritti dei cittadini europei non sono negoziabili», avverte Guy Verhofstadt, capo negoziatore del parlamento di Strasburgo. «Parole controproducenti», commenta a Londra il leader laburista Jeremy Corbyn. «Provocherà il caos», ammoniscono i rappresentanti dei 3 milioni di europei residenti in Gran Bretagna e del milione di britannici negli altri 27 paesi della Ue. La leader conservatrice si riferisce al periodo di circa due anni in cui, dopo l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione nel marzo 2019, tutto dovrebbe restare com’è ora per dare tempo a governi e business di creare nuove relazioni economiche, commerciali e in ogni campo fra Londra il continente. Il punto è se gli europei arrivati in Inghilterra nei due anni di transizione potranno restarci per sempre, come quelli che ci vivono o ci arrivano adesso. La questione – spiega a Repubblica una fonte bene informata – doveva essere oggetto di negoziato: andava perciò lasciata nel vago.
Se May ha scelto di scatenare le polemiche, c’è tuttavia una ragione. A leggere i giornali inglesi si può pensare che abbia i giorni contati. L’ala più antieuropea dei Tories la accusa di fare troppe concessioni nella trattativa sulla Brexit. I conservatori moderati, con l’appoggio della City, e l’opposizione laburista, la accusano di compromettere la salute economica nazionale in nome della Brexit: specie dopo la rivelazione che esiste un rapporto governativo riservato sui danni dell’uscita dalla Ue (un declino del pil dal 2 all’8 per cento, a seconda degli scenari). L’inquilina di Downing Street sopravvive dando un colpo al cerchio e uno alla botte. «Naviga a vista, ma ormai è chiaro che non sa dove andare», sentenzia il Financial Times. Il pericolo più immediato, dal suo punto di vista, è una mozione di sfiducia del proprio partito: 40 delle 48 firme per innescare la votazione sarebbero già state depositate. E il ministro degli Esteri Boris Johnson, il favorito dei bookmaker, scalpita per rimpiazzarla, promettendo centinaia di milioni di investimenti per la sanità pubblica, come se fosse già in campagna elettorale (non sa dove li troverebbe, ma le vuote promesse non sono un’esclusiva della competizione elettorale italiana).
Così la premier si preoccupa di tamponare la prima falla della sua barca che affonda, assumendo una linea dura sugli immigrati europei nel periodo di transizione per smentire gli ultrà che la dipingono come remissiva. Fra compromettere il negoziato sulla Brexit e salvare il posto è chiaro dove sia la sua priorità. Il problema è che di falle se ne apriranno presto altre. Diventata primo ministro per caso nel luglio 2016, grazie all’inaspettata sconfitta di David Cameron nel referendum sulla Ue, umiliata nelle elezioni anticipate dello scorso anno che sperava di stravincere e le hanno invece fatto perdere la maggioranza assoluta, protagonista di infortuni a ripetizione, dalla freddezza davanti al rogo della Grenfell Tower alla tosse nel discorso al congresso conservatore, May è sempre più un’“anatra zoppa”, come la chiamano i commentatori. «Non mi piace paragonarmi a un animale», replica. «Ho un lavoro a lungo termine da fare», afferma, lasciando intendere che si ricandiderà leader e premier alle elezioni del 2022. «Ma sta davvero a lei decidere?», sottinteso quanto tempo resterà al potere, ironizza il Daily Telegraph. La congiura per fare cadere colei che non “si arrende” cresce d’intensità di giorno in giorno. Se il romanzo di Theresa May prosegue è solo per il timore dei Tories che la conclusione sia per loro peggiore: un socialista convinto, Jeremy Corbyn, a Downing Street.