Corriere della Sera, 2 febbraio 2018
Terapia genica contro la leucemia Curato un bimbo di quattro anni
ROMA A quattro anni Paolo, nome di fantasia, è come se fosse vissuto dieci volte di più per tutte le prove che ha dovuto superare, una dopo l’altra. Hanno scoperto che aveva la leucemia linfoblastica acuta, la più diffusa in età pediatrica, subito dopo aver spento la prima candelina. Pallido, debole, gli occhi gonfi. La mamma non si è arresa malgrado le rassicurazioni dei pediatri e l’ha portato a far visitare all’ospedale di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia,dove la diagnosi è emersa con gli esami del sangue. Paolo ha cominciato la chemioterapia senza nessun giovamento, poi la recidiva e il trapianto di midollo a Roma anch’esso fallito. Gli oncoematologi del Bambino Gesù hanno infine tentato una cura sperimentale che è il futuro della medicina. Le principali cellule del sistema immunitario, i linfociti T, sono stati modificati geneticamente e armati per colpire le cellule malate, in modo mirato, quindi più efficace e meno pesante da sopportare per l’organismo di un bimbo. A un mese dall’infusione, Paolo è tornato a casa, sul Gargano. Non c’è traccia di malattia nel midollo, al momento sembra essersi ritirata.
Franco Locatelli ha coordinato il programma di terapia genica assieme a gruppi dei ricercatori dell’ospedale romano. Felice ma prudente: «Non è la guarigione – afferma —. Le cellule tumorali al momento non si vedono ma potrebbero essere ancora in circolo, rilevabili con esami più sensibili. Il tempo ci dirà se siamo riusciti a debellarle».
Il metodo del cosiddetto recettore chimerico, lo strumento d’attacco di cui viene dotato il linfocita, non è nuovo ma per la prima volta è stato sperimentato su un bambino italiano, con una variante rispetto al protocollo messo a punto dagli americani del Children’s Hospital di Filadelfia nel 2012. La terapia è stata prodotta in casa senza ricorrere al farmaco dell’azienda Novartis, utilizzato nell’ambito di una sperimentazione su una giovane paziente al San Gerardo di Monza. Il vantaggio di gestire il protocollo all’interno di un centro pubblico è un vantaggio anche economico. La struttura amministrata da Mariella Enoc ha da pochi anni aperto un’officina farmaceutica nel quartiere San Paolo per la cell therapy, autorizzata dall’agenzia italiana del farmaco (Aifa). Pubblici anche i fondi condivisi da Associazione per la ricerca sul cancro, ministero della Salute e Regione Lazio.
Siamo agli esordi della medicina di precisione, personalizzata, costruita utilizzando le cellule del paziente. L’avventura continua. Ieri sera l’infusione è stata utilizzata per una ragazza di 17 anni con la stessa malattia di Paolo, prossimamente sarà applicata su un paziente con un diverso tipo di tumore, il neuroblastoma. Sul New England Journal of medicine è stato appena pubblicato il bilancio aggiornato di queste sperimentazioni: la metà dei 75 piccoli con leucemia linfoblastica acuta a due anni dalla terapia in altri centri stranieri stanno bene. La mamma di Paolo parla al cellulare mentre lui chiede curioso, chi è, chi è? «Abbiamo vissuto questa tragedia senza mai perdere la speranza – dice —. Il suo carattere vivace ci ha aiutati, è dinamite. È molto saggio. Sapeva di non poter entrare nei luoghi affollati perché rischiava di prendere infezioni e tornava indietro. “No, mamma, usciamo, qui c’è troppa gente”. Ora speriamo sia finita davvero. Non è mai andato all’asilo e forse potrà ricominciare una vita da bambino».
La famiglia non ha esitato ad accettare la proposta della sperimentazione, l’altra possibilità era ritentare con un secondo trapianto di midollo che avrebbe potuto avere risultati negativi. Di leucemia linfoblastica acuta si ammalano ogni anno 450 bambini.