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 2018  febbraio 02 Venerdì calendario

«Tra le Coree un abisso di diffidenza Ma non saranno gli eserciti a salvarci». Intervista a Kim Ki-Duk


Nam Chul-woo è un pescatore nordcoreano che la corrente trascina nelle acque del Sud. Verrà trattato da spia sia a Seul che al suo ritorno a casa. Film metafora dell’incomunicabilità tra i due Paesi, «Il prigioniero coreano» (in Italia dal 12 aprile) segna il ritorno di Kim Ki-duk alla narrazione politica. Alla vigilia dei Giochi di Pyeongchang, che con il potere taumaturgico dello sport hanno riavvicinato i poli opposti, il maestro sudcoreano pluripremiato ha accettato di rispondere alle domande del Corriere. 
Meno metafisica, più fatti: qual è il messaggio che il suo film vuole passare al mondo?
«La triste realtà della penisola coreana. E l’eterna diffidenza reciproca».
Il pescatore è torturato, fisicamente e psicologicamente, da entrambi i Paesi. Non c’è colpevole nella sua visione.
«Giusto. Nord e Sud hanno torto, secondo me. La sfiducia originata dalla guerra di Corea negli Anni 50 si è prolungata fino ai giorni nostri. E la divisione tra le Coree creata dalla sperequazione del potere ha reso la situazione, temo, insolubile».
Un film può servire a sciogliere le tensioni?
«Mi piace pensare che possa dare l’occasione alle parti di riflettere su se stesse. Altrimenti la prossima generazione di coreani sarà ancor più diffidente».
Il suo film verrà proiettato a Pyongyang?
«Non credo proprio».
E come si aspetta l’accoglienza in Corea del Sud?
«La storia e il messaggio sono universali: tutti possono ritrovarcisi».
Il pescatore chiude gli occhi per non essere contaminato dal capitalismo del Sud. Quanto il Sud è contaminato dal Nord?
«Il Nord vede il Sud come una deriva scadente del capitalismo imperialistico americano. Il Sud vede il Nord come un luogo desolato in cui la politica tratta i cittadini come schiavi. Ma ciascuno dei due Paesi equivoca l’altro. Io credo che al Nord e al Sud la gente viva la propria vita: è che la pensano diversamente».
Il capitalismo è il vero cancro dell’umanità?
«Più del capitalismo, l’ego dei politici. Il sistema, in teoria, dovrebbe garantire imparzialità ovunque».
Le chiedo quello che il pescatore del Nord chiede alla sua guardia sudcoreana: a cosa serve la libertà, se non garantisce la felicità?
«La libertà degli individui, in un periodo storico minacciato dai conflitti, non ha nulla a che vedere con la libertà di un animale. È inevitabile sentirsi controllati, in gabbia. Sono certo che sul piano terreno non esiste uomo che goda di autentica libertà».
Pensa che i Giochi in Corea del Sud possano essere più potenti dell’arte?
«Arte e sport hanno ruoli differenti. Lo sport è una competizione fisica, una specie di surrogato della guerra. L’espressione artistica, invece, permette alle persone di capire meglio se stesse».
La diplomazia dei Giochi permetterà alle due Coree di sfilare insieme sotto una bandiera comune: è un risultato o solo marketing?
«Lo capiremo alla fine dell’Olimpiade. Gli Usa non hanno interrotto le operazioni militari nella penisola e si continua a parlare di una potenziale guerra. Dopo i Giochi non cambierà nulla. Io ho paura. Il presidente Moon ha detto che per le ostilità militari serve il consenso della Corea del Sud e io gli credo: è il leader più saggio che abbiamo mai avuto. Se c’è qualcuno che può firmare la pace con la Nord Corea è lui».
Crede davvero che Nord e Sud continueranno ad andare d’accordo dopo i Giochi?
«Dipende dagli Usa, che hanno un ruolo chiave. Io credo nel dialogo, non nelle operazioni militari».
Quanto è realmente pericoloso Kim Jong-un?
«Non lo conosco ma penso che sia profondamente sbagliato che un leader politico metta a rischio la vita del suo popolo per soddisfare i propri capricci».
Ma alla fine Corea del Nord e del Sud sono davvero così diverse?
«Sì. Sono circa 70 anni che il Paese è diviso, il patrimonio genetico dei due popoli non è cambiato, continuiamo ad avere un rapporto ostile. Oggi è difficile ricomporre l’odio ma gli scambi economici potrebbero almeno migliorare la qualità della vita al Nord».
Se nulla succede per caso e tutto è regolato da un’intelligenza superiore, che senso ha l’odio tra le Coree?
«Chi ha perso i parenti in guerra è livoroso ma la maggior parte delle persone non vuole un’altra guerra. Non credo che il Nord lancerà mai un attacco nucleare su Seul, con il rischio di distruggere entrambi i Paesi. Mi preoccupa di più che le sanzioni internazionali rendano la vita ancora più difficile ai nordcoreani e possano condurre a singole azioni disperate».
Una fucilata chiude il film: la violenza è l’unica redenzione possibile sul piano terreno?
«Simbolizza il fallimento della diffidenza reciproca. Aspetto con ansia un mondo in cui le persone non siano più prigioniere dei governi».
Maestro, è mai stato in Corea del Nord?
«Mai. Per allestire il villaggio nordcoreano del pescatore sono andato nella zona non militarizzata di confine e ho sbirciato il Nord con il binocolo».