Corriere della Sera, 2 febbraio 2018
Le bombe, i muri, le rose Murad, il Banksy arabo e 2.000 graffiti per lo Yemen
«Voglio unire con l’arte ciò che la guerra ha diviso». Murad Subay, 30 anni, da ragazzino passava ore sui libri d’arte. Van Gogh, Picasso, Matisse, i suoi preferiti erano i pittori europei. «Sognavo di vivere a Montmartre, avevo un’idea un po’ romantica dell’arte», racconta al Corriere da Sana’a.
A sei anni Murad si trasferisce a Sana’a con la famiglia, di mattina va a scuola, di pomeriggio si esercita con i pennelli. E quando nel 2012 lo Yemen viene attraversato dalla primavera araba, come tanti giovani, scende in piazza sperando in un cambiamento. «Volevamo più diritti e una società più libera». Ma il sogno di Tagheer Square dura il tempo di un sospiro: la politica e gli interessi economici di Iran e Arabia Saudita inquinano le istanze di giustizia. Quando inizia la guerra, il Paese si spacca in due, le bombe saudite iniziano a martoriare Sana’a. Murad capisce che se vuole continuare ad essere un artista deve andare in strada.
I primi murales li realizza in compagnia di un amico. Lavorare da solo è troppo pericoloso e non solo a causa delle bombe.«Una giorno ero a Taiz, quando la polizia ci ha preso. Dicevano che non avevamo i permessi, in realtà erano infastiditi perché il nostro dipinto era una protesta contro la corruzione». Da allora Murad dipinge di giorno, alla luce del sole.
Oggi per tutti Murad è diventato il Banksy del Medio Oriente. Un 30enne che con i suoi lavori racconta al mondo le sofferenze di tre anni di guerra, con oltre 10 mila morti e un milione di persone contagiate dal colera. «In guerra un’immagine vale più di mille parole, soprattutto se a raccontarla è la strada». Come la bambina che innaffia un fiore cresciuto su una bomba o come i disegni che ricordano ai passanti le vittime dell’epidemia o della malnutrizione. Ma il paragone con il writer britannico non è proprio esatto. Dal 2012 Murad ha lanciato una serie di campagne per coinvolgere gli yemeniti, trasformando il suo progetto in un collettivo. «Voglio che tutti facciano sentire la loro voce», è l’idea. Inoltre Murad non nasconde la sua identità ma se ne va in giro in T-shirt e jeans. «Con “Ruins”, l’ultima campagna lanciata nel 2015, siamo arrivati a Bani Hawat, nei sobborghi di a Sana’a, dove un raid ha ucciso più di 27 civili, inclusi 15 bambini». Il risultato sono gli oltre duemila murales sparsi in tutto il Paese, una finestra su un conflitto sconosciuto.
Subay ha realizzato un murale anche a Londra e sta cercando di costruire «dei ponti tra lo Yemen e il resto del mondo, compresa Milano», ma spostarsi è diventato sempre più difficile per la stretta sui visti. Sua moglie, Hadil, 27 anni, studia diritto internazionale a Stanford. Ma a causa del muslim ban e delle successive restrizioni i due non si vedono da un anno. Un’eternità di nostalgia, che nessun murale può raccontare.