Corriere della Sera, 2 febbraio 2018
Viva la squola
Ora che la magistratura ha apposto il timbro definitivo sul licenziamento della maestra veneziana che scriveva scuola con la q, bisognerebbe che al ministero qualcuno ci svelasse il quarto segreto di Fatima: come ha fatto un’analfabeta a piede libero a insegnare per anni nelle scuole, anzi nelle squole della Repubblica Italiana. Per ottenere quel posto ha dovuto superare indenne un lunghissimo percorso a ostacoli disseminato di q. Intanto l’esame di quinta elementare, dove chi scambia «squola» per l’anagramma di «squalo» andrebbe spedito dietro la lavagna, non in cattedra. Poi quello di terza media, la maturità, forse una laurea e sicuramente un concorso, senza che mai nessun esaminatore osasse fermarla. Erano tutti corrotti, ignoranti o distratti come quei tecnici ministeriali che in un tema dell’anno scorso scrissero «traccie» con la i? La maestra sgrammaticata non era poi neanche così difficile da stanare. Risultava allergica alla «c» in genere: oltre a «squola» scriveva «sciaquone». E aveva pessimi rapporti anche con le doppie, come la sua collega milanese che corresse un allievo – «zebbra si scrive con due b!» – e la preside la difese, sostenendo che però tutte le altre parole le aveva scritte giuste.
Qualcuno dirà che nel Paese in cui la ministra dell’Istruzione non ha un diploma di sc(q)uola superiore tutto è plausibile. Ma una maestra è più importante di una ministra. Plasma il futuro dei bambini. Sempre che riesca a coniugarlo.