La Stampa, 2 febbraio 2018
Mussolini e Lenin le divergenze parallele
Non esiste la certezza che Benito Mussolini e Vladimir Il’ic Ul’janov (Lenin) si siano incontrati occasionalmente alla Brasserie Handwerk di Ginevra il 18 marzo 1904. L’ipotesi è comunque suggestiva per tratteggiare e incrociare le biografie politiche dei due personaggi nel successivo, incandescente ventennio del Novecento. Emilio Gentile (Mussolini contro Lenin, Laterza) ricostruisce accuratamente le loro esperienze, intrecciando i percorsi dei due futuri dittatori verso il potere in un lavoro che offre dati e spunti di riflessione sul rapporto tra guerra e rivoluzione, sul ruolo del leader carismatico nella nuova politica di massa, sulle difficoltà e la crisi della democrazia liberale durante e al termine della Prima guerra mondiale, proponendo una lettura originale della relazione tra le due personalità.
Diversi per età, ambiente familiare e collocazione sociale, Lenin e Mussolini agli inizi del secolo erano entrambi assorbiti dall’impegno politico nell’ambito del socialismo rivoluzionario. Ostili al revisionismo riformista, manifestavano concezioni simili della rivoluzione e del partito. Nel corso del decennio successivo, le loro carriere politiche conseguivano risultati differenti: nel congresso socialista di Reggio Emilia del luglio 1912, Mussolini emergeva come una delle figure più significative della corrente rivoluzionaria e assumeva poco dopo la carica di direttore dell’Avanti! Lenin fondava il partito bolscevico, ma il suo nome era sconosciuto alle masse operaie e contadine russe.
Lo scoppio della Grande Guerra imprimeva una svolta alle loro storie politiche: Lenin si schierava contro la guerra borghese e imperialista, accusava di tradimento i partiti della Seconda Internazionale, si appellava al proletariato internazionale affinché trasformasse la guerra imperialista in guerra civile internazionale. Mussolini, dopo aver condiviso la scelta neutralista del Partito socialista, individuava nel conflitto contro gli Imperi centrali l’evento destinato a scardinare l’assetto politico-sociale esistente e abbracciava la linea dell’interventismo rivoluzionario, che sosteneva dalle colonne del suo nuovo quotidiano Il Popolo d’Italia, ed era espulso dal partito.
Le vicende rivoluzionarie in Russia, a partire dal febbraio 1917, segnavano un’ulteriore diversificazione dei loro itinerari politici. La trattazione delle vicende russe da parte del Popolo d’Italia offre uno specchio significativo dell’evoluzione della posizione mussoliniana. La rivoluzione di febbraio, presentata come un moto della folla contro l’autocrazia zarista, accompagnato dalla volontà di proseguire la guerra, era una convalida dell’interventismo rivoluzionario. Il ritorno di Lenin in Russia nell’aprile del 1917, i suoi proclami contro la guerra erano accolti con disappunto. La presa del potere da parte bolscevica consolidava la critica nei confronti di un personaggio raffigurato come un agente al servizio del governo tedesco, «traditore della Russia, del socialismo, della libertà dei popoli, per la quale combattevano le nazioni dell’Intesa», come confermava la pace separata con la Germania.
L’attenzione del direttore del Popolo d’Italia si volgeva anche alle forme che andava assumendo il potere di Lenin, giudicato l’edificatore di una dittatura di partito e di una tirannia personale. Sin dagli inizi, le vicende russe avevano offerto al politico romagnolo anche un’occasione per polemizzare con i socialisti italiani, abbacinati (tranne i riformisti) dall’ascesa di Lenin e dal suo progetto rivoluzionario.
La polemica contro i «leninisti d’Italia» si accentuava nel dopoguerra, in un Paese lacerato dalle conseguenze del conflitto e percorso da un’ansia di rinnovamento e di rigenerazione che sfociava in aspre lotte sociali. Sfruttando limiti ed errori del massimalismo socialista, il movimento guidato da Mussolini passava nell’autunno del 1920 alla lotta contro un pericolo bolscevico ormai scomparso. Era il momento dell’affermazione dello squadrismo, della nascita del Partito fascista come partito milizia, che sosteneva la marcia di Mussolini verso il potere sulla base di un progetto politico nemico della democrazia e ostile ai valori del liberalismo.
La conclusione di Emilio Gentile è significativa e rovescia opinioni diffuse. A suo giudizio, «il duce nulla aveva appreso dal capo bolscevico. Né per conquistare il potere, né per costruire il proprio regime totalitario».