La Stampa, 2 febbraio 2018
I 20 miliardi che si possono risparmiare
In questo clima pre-elettorale, la necessità di trovare fonti di copertura credibili per le proposte di riduzione di tasse (e per nuove spese ritenute prioritarie) ha portato diversi partiti e movimenti a rivisitare il tema dei possibili risparmi che potrebbero essere ottenuti eliminando gli «sprechi» nella spesa pubblica. Alcuni hanno anche fatto esplicito riferimento alle mie proposte avanzate nel marzo 2014, proposte che stimavo potessero portare a risparmi nell’ordine di 34 miliardi nel giro di tre anni.
Mi sembra utile avanzare alcune precisazioni riguardo a quei 34 miliardi e, soprattutto, sottolineare come, anche se risparmi nella spesa pubblica sono possibile e, a mio giudizio, anche auspicabili, non si possono raggiungere cifre rilevanti (misurabili in decine di miliardi) senza andare a toccare gli interessi di un numero piuttosto elevato di persone e senza limitare i servizi che le pubbliche amministrazioni ora forniscono. Spesso si tratta di servizi non essenziali, ma chi ne beneficia non sarà certo contento della loro eliminazione.
Prima precisazione. I «miei» 34 miliardi, come indicato a pagina 3 e 5 delle slides del marzo 2014, erano «lordi», cioè non erano corretti per la perdita di entrate che si verifica quando lo Stato taglia certe spese (per esempio, riduzioni degli stipendi dei dirigenti pubblici portano a minori tasse).
In termini di copertura di nuove iniziative, l’importo era quindi inferiore (il risparmio netto dipende dagli aspetti specifici delle misure adottate, ma la perdita di entrate sarebbe comunque stata di diversi miliardi).
Seconda precisazione. Alcuni di quei risparmi sono già stati ottenuti, magari non facendo proprio quanto avevo suggerito (per esempio, intervenendo con tagli lineari piuttosto che mirati alle amministrazioni meno efficienti), ma comunque andando a colpire gli stessi settori da me indicati. Un esempio è la sanità, dove avevo stimato risparmi per 2 miliardi rispetto a un trend di crescita della spesa in linea col Pil. Negli ultimi anni questo settore ha già subito tagli rilevanti (rispetto al Pil) e non vedo risparmi sostanziali ancora possibili (anche se riallocazioni nella spesa resterebbero sempre possibili e sarebbe auspicabile un maggior contributo al pagamento dei servizi forniti da parte di chi se lo può permettere). Quanto resta da risparmiare rispetto alle mie iniziali proposte? Una stima precisa richiederebbe i potenti mezzi della Ragioneria Generale dello Stato ma, approssimativamente, penso che gli interventi che ancora restano fattibili siano nell’ordine di 20 miliardi. C’è però da dire che, dal 2014, si sono aggiunte spese che avrebbero potuto essere evitate (bonus vari e assunzioni nel pubblico impiego secondo me non necessarie) per cui margini per tornare a risparmi intorno a 25-30 miliardi ancora esistono.
Il che mi porta al punto principale. Risparmiare importi anche elevati è possibile ma richiede scelte difficili. Facciamo qualche esempio. Se io chiudo un ente inutile, risparmio sui costi per riscaldamento, illuminazione eccetera. Ma occorre essere consapevoli che il risparmio più consistente emerge solo se si risparmia anche sul personale. Il che non richiede necessariamente licenziare (il personale può essere riutilizzato evitando al tempo stesso di comprare dal settore privato servizi attualmente esternalizzati, o evitando nuove assunzioni). Ma il problema non può essere ignorato. Se si riducono i costi di gestione delle diverse forze di polizia, evitando sovrapposizioni di compiti tra queste, si ottengono risparmi, ma anche qui c’è una questione di personale. Se si riducono i trasferimenti a certi settori (cinema, radio e televisioni, giornali) si risparmia, ma certo c’è chi si lamenterà. Se si vogliono ridurre i costi delle partecipate locali, occorre essere chiari che questo vuole anche dire far pagare di più ai cittadini il costo di certi servizi, per esempio nel trasporto pubblico locale, settore in cui il prezzo fatto pagare all’utenza, anche sugli abbonamenti, è più basso di quello fatto pagare in altri Paesi. E non posso non citare il fatto che le mie proposte di risparmio coprivano anche la spesa pensionistica, con risparmi derivanti anche dalla riduzione delle pensioni in essere. Anche limitando i provvedimenti in quest’area alle pensioni relativamente alte, si arriva facilmente a coinvolgere centinaia di migliaia di persone. Certo, ci sono interventi che invece colpiscono solo alcuni «privilegiati»: gli stipendi dei dipendenti degli organi costituzionali, i vitalizi residui, un po’ di auto blu ancora da tagliare, eccetera. Questi non vanno assolutamente dimenticati perché la loro eliminazione è di fondamentale importanza per rendere accettabili risparmi di spesa su voci che coinvolgono settori più ampi della popolazione. Ma non bastano certo a raggiungere importi nell’ordine di 20-30 miliardi.
In conclusione, risparmiare è possibile ma per farlo occorre avere un chiaro mandato elettorale basato sulla comprensione di cosa questi risparmi comportino in termini di interazione tra la pubblica amministrazione e il cittadino. Suggerire che sia possibile raggiungere risparmi rilevanti, semplicemente tagliando «sprechi» senza che nessuno ne subisca conseguenze, non è utile a costruire il consenso per operare le difficili scelte da prendere una volta arrivati al governo.