La Stampa, 2 febbraio 2018
Il flop degli istituti tecnici e professionali
Soltanto il 28% di chi ha preso un diploma in un istituto tecnico o professionale ha lavorato per almeno 6 mesi nei primi due anni post-maturità. Quasi altrettanto consistente (27,4%), nello stesso periodo, la quota dei Neet, ossia di chi non studia e non lavora. E a due anni dal diploma oltre la metà dei ragazzi svolge lavori che non hanno molto a che fare con gli studi fatti, mentre solo il 34% ne svolge uno coerente col diploma portato a casa.
Sono alcuni risultati del rapporto della Fondazione Agnelli sull’occupazione dei diplomati negli istituti Tecnici e Professionali che è stato presentato oggi al ministero dell’Istruzione mentre si avvicina la scadenza delle iscrizioni al prossimo anno scolastico (6 febbraio). L’analisi, la prima non a campione ma censuaria, fornisce un quadro completo, finora mai delineato su oltre mezzo milione di giovani che hanno finito le Superiori nei tre anni scolastici 2011-12, 2012-13, 2013-14 e incrocia dati dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti con le comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. I problemi sono evidenti anche secondo la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli: «I dati ci dicono che dobbiamo lavorare per fare in modo che la preparazione che offriamo ai nostri ragazzi consenta loro di trovare un’occupazione che sia sempre più in linea con le proprie attese. Dobbiamo intervenire per superare i divari, a partire da quelli territoriali e di genere, che non garantiscono pari opportunità di accesso al mondo del lavoro».
La strada da seguire, secondo la ministra, non è quella indicata dal presidente della Confindustria di Cuneo, ma quella avviata dal Miur con le iniziative messe in campo per potenziare il sistema, a partire dalla riforma dell’istruzione professionale varata ad aprile e dall’inserimento dell’alternanza scuola-lavoro all’interno del percorso scolastico.
Si spera che qualcosa cambierà. Per il momento però sul totale dei diplomati solo il 30% ha proseguito con l’università. Gli altri hanno preferito entrare subito nel mercato del lavoro, dove non hanno trovato un contesto particolarmente favorevole. Per ottenere un contratto con una durata di almeno 30 giorni continuativi i diplomati hanno atteso in media quasi 9 mesi e la maggioranza di loro ha trovato un’occupazione entro 40 chilometri da casa, anche se questo dato vede molte differenze territoriali.
Per quanto riguarda il tipo di contratto, la metà dei diplomati che lavorano ha raggiunto entro i primi due anni dalla maturità una posizione stabile: il 22,2% ha un contratto a tempo indeterminato e circa il 27,6% è inserita in un percorso di apprendistato, che per i più giovani rappresenta il primo passo di un rapporto di lavoro permanente.
Secondo la Fondazione Agnelli molto ha pesato la riforma Fornero dell’apprendistato prima e il Jobs Act che hanno cambiato le convenienze dei datori di lavoro. «Con l’attuale normativa sono cresciuti i contratti a tempo indeterminato – ha sottolineato il direttore della fondazione Andrea Gavosto – mentre sono diminuiti quelli di apprendistato, a cui si era fatto invece massiccio ricorso dopo la riforma Fornero; i contratti a tempo determinato, invece, non hanno registrato sostanziali variazioni».
Tra i diversi settori del segmento di istruzione esaminato, quello che sembra garantire migliori chance occupazionali e contratti più stabili è il corso professionale del settore Industria e Artigianato mentre il settore Servizi permette una coerenza tra lavoro svolto e competenze acquisite nel corso degli studi fatti.