La Stampa, 2 febbraio 2018
Il primo bimbo italiano salvato dalla leucemia grazie alla terapia genica
Carla parla del suo piccolo Mirko con gioia. E anche ansia, perché ancora non sa che da lì a poche ore un nuovo prelievo dal midollo le confermerà che sì, almeno per ora quella brutta leucemia resistente a chemio, radio e trapianti è stata messa a tappeto. Solo il tempo dirà se per sempre, ma intanto le analisi riaccendono la speranza in questa tenace mamma di Foggia e il suo bambino di 4 anni, curato per la prima volta con una terapia genica nata in America e ora applicata con successo dai nostri ricercatori del Bambino Gesù di Roma con una tecnica tutta italiana, che ridà speranza a tanti malati. Una cura sperimentale, dal nome, Car-T, che sembra quello di un test per auto ma che in realtà consiste nel manipolare geneticamente cellule del sistema immunitario fino al punto da trasformarle in killer capaci di scovare e attaccare i tumori del sangue.
«Dopo un calvario che sembrava senza fine a gennaio i medici hanno ottenuto l’autorizzazione a sperimentare il farmaco e dopo una sola infusione ai primi di gennaio oggi non c’è traccia di cellule tumorali nel sangue di mio figlio», racconta Carla (il suo nome come quello del piccolo sono di fantasia), poco prima che i medici le facciano tirare un sospiro di sollievo confermandole la remissione della malattia. Una leucemia linfoblastica acuta, che raramente lascia scampo. E che sembrava aver condannato anche il piccolo Mirko dopo un’odissea senza fine.
«A un anno e mezzo – racconta la mamma – mi insospettisco vedendogli gli occhi gonfi. Lo porto dal pediatra che mi consiglia degli accertamenti all’Ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo». Il mondo le cade addosso. «Non ci fu bisogno di parole, bastò lo sguardo della dottoressa che sapevo lavorava in oncologia. Da quel momento mi sembrò di entrare in un mondo irreale». Ma poi, come racconta, arriva il momento di reagire, aggrappandosi alle cure tradizionali. Un primo ciclo di chemioterapia, ma dopo solo due mesi la malattia rialza la testa. «A quel punto tentiamo la strada del trapianto di midollo al Bambino Gesù. Mirko è forte, sa che si deve curare, è piccolo, ma capisce. Vuol sapere solo quando si torna a casa». Ma dopo solo 86 giorni ecco il vomito e il mal di testa. «È la seconda recidiva e penso: questa volta non ce la fa. Ma non voglio perderlo. Parlo con i medici. Mi spiegano di questa terapia sperimentale, che però ha livelli alti di tossicità».
Per quasi un anno il piccolo si sottopone a nuovi estenuanti cicli di chemio e radioterapia, per tenere a freno la malattia, in attesa che arrivi l’autorizzazione del ministero della Salute a sperimentare la terapia genica, applicata per la prima volta con successo su una bimba leucemica di 7 anni nel 2012 negli Usa, ora sperimentata con una diversa tecnica di modificazione delle cellule al Bambino Gesù.
«Mirko è magro e ha perso un po’ di capelli – racconta Carla – ma ora è felice di poter tornare a casa, anche se sa che dovrà continuare a fare controlli, perché ancora non possiamo dire di aver vinto la guerra».
Ma come ricorda il professor Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia di quest’eccellenza pediatrica che è il Bambino Gesù, per Mirko «non erano più disponibili terapie mentre grazie all’infusione dei linfociti T modificati oggi sta bene ed è stato dimesso». Anche se, aggiunge, «è troppo presto per avere certezza della guarigione».
Intanto il prestigioso «New England Journal of Medicine» pubblica uno studio sui successi di questa nuova tecnica su 75 leucemici e al Bambino Gesù altri pazienti attendono il via libera alla terapia sperimentale. Che da oggi fa intravedere a tanti l’uscita dal tunnel.