La Stampa, 2 febbraio 2018
Bolivia, gli evangelici attaccano Morales. Contestata la legge che equipara la conversione al reclutamento dei miliziani
Decine di pastori evangelici inginocchiati nella piazza Murillo di La Paz, davanti al Palazzo presidenziale. Una scena che è parsa d’altri tempi: bibbia in mano, i religiosi hanno pregato per la salvezza di Evo Morales e dei deputati boliviani, colpevoli di voler emanare una legge che proibisce l’evangelizzazione dei fedeli con una pena dai sette ai dodici anni di reclusione. «Dio salvi Evo» dicevano i loro cartelli, mentre in lacrime chiedevano un intervento dal cielo per bloccare la «persecuzione laica». «Noi andiamo casa per casa – ha spiegato alla stampa locale il pastore Miguel Machaca – per salvare delle persone che sono finite nel vizio della droga, dell’alcol, della delinquenza; portiamo a loro la parola di Gesù e lo Stato, per questo, mi deve punire?». La protesta ha coinvolto decine di chiese pentecostali, le più attive in Bolivia come in tutti gli altri Paesi sudamericani nel reclutare fedeli portandoli via, nella stragrande maggioranza dei casi, alla Chiesa cattolica. Per un mese hanno organizzato catene di preghiere, inviato petizioni a giornali e televisioni, hanno manifestato fuori dai templi e per le strade. Alla fine anche il presidente indio, laico e socialista, ha dovuto cedere. L’applicazione dell’articolo 88 del nuovo codice penale, che metteva sullo stesso piano il reclutamento per conflitti armati a quello per organizzazioni religiose e di culto, è stato sospesa e ora saranno i parlamentari a decidere cosa fare. Un dietrofront che non ha smorzato le polemiche. Morales, che non è nuovo a clamorosi dietrofront sulle decisioni prese, ha spiegato che tutta la vicenda è stata strumentalizzata dai gruppi di destra a lui ostili. È andato di persona in un programma televisivo annunciando la sua nuova posizione. «La menzogna ha preso il sopravvento sulla verità, noi non vogliamo offendere nessuno. Per questo ho deciso di rimandare tutto il nuovo codice penale all’esame del parlamento, espressione della volontà popolare. Che nessuno possa dire che il presidente decide da solo, senza sentire la sua gente». Alla campagna contro la norma hanno preso parte anche i pastori delle potenti chiese brasiliane, che da tempo hanno aperto le loro «filiali» nel Paese vicino. Alcuni di loro si sono riuniti con l’ambasciatore boliviano per chiedere, a nome dei sessanta milioni di evangelici brasiliani, di fermare la persecuzione contro i loro correligionari. Appelli che sono stati tradotti dal portoghese allo spagnolo e rimbalzati nei social media e in centinaia di siti d’ispirazione cristiana-evangelica, creando un tam tam che ha sorpreso il governo boliviano.
In attesa degli sviluppi futuri, gli analisti locali hanno tentato di capire perché Morales si sia spinto così avanti sul terreno della laicità dello Stato, mettendosi contro una parte della popolazione. In teoria, la norma anti-evangelizzatrice potrebbe favorire alla lunga la Chiesa cattolica, ponendo un limite all’inesorabile avanzata dei culti neo-pentecostali. Ma il nuovo codice penale ha anche ampliato i casi di aborto legale, già permesso in caso di stupro o violenza sessuale, anche per le studentesse o le donne con a carico altri figli minori, suscitando forti critiche da parte dei vescovi locali. Morales può vantare una buona relazione con Papa Francesco, che ha incontrato già cinque volte. Nel loro ultimo faccia a faccia in Vaticano a metà dicembre, Evo ha chiesto a Bergoglio di intercedere sulla questione dello sbocco sul Pacifico sottratto alla Bolivia dal Cile nell’Ottocento, oggetto da anni di una disputa internazionale. Delegando al Parlamento, dove il suo partito detiene la maggioranza, la rielaborazione del nuovo codice penale, il presidente indio ha voluto prendere tempo, per evitare di trovarsi di fronte ad una crociata trasversale di cattolici ed evangelici che potrebbe, in futuro, fargli perdere parecchi consensi.