La Stampa, 2 febbraio 2018
Gli italiani e la passione per la minerale
I numeri parlano chiaro: i 140 stabilimenti che in Italia lavorano per gli oltre 260 marchi di «minerale» hanno imbottigliato nel 2015 ben 13,8 miliardi di litri di acqua. Il 71% «liscia», il 12,3% frizzante, l’11,2 effervescente naturale, il 5,3% leggermente gassata. In totale, ogni italiano si è bevuto quell’anno la bellezza di 208 litri di acqua in bottiglia. Secondo il Censis il 61,8% delle famiglie sceglie la minerale, preferita alla quasi gratuita acqua di rubinetto, spendendo circa 240 euro l’anno a nucleo.
Una vera e propria passione – il giro d’affari annuo è stimato intorno ai 2,5 miliardi di euro – che rende ricche e fiorenti le aziende del settore, che vendono a caro prezzo una «materia prima», l’acqua, per cui pagano alle Regioni canoni di concessione irrisori, non toccati da decenni. Persino in zone dove ci sono problemi di siccità. Una ricerca di Legambiente e Altreconomia del 2014 («Regioni imbottigliate») indica che il prezzo medio di vendita di un litro di acqua minerale sia intorno ai 30 centesimi di euro; ma per quello stesso litro le aziende pagano alle Regioni la ridicola somma di 0,1 centesimi. Un millesimo di euro al litro. La differenza oltre al lavoro e agli impianti, serve a finanziare l’imbottigliamento, la pubblicità, e il trasporto. E a dare profitti alle imprese, naturalmente.
Ma da dove nasce questa passione per l’acqua in bottiglia, strana per un paese dove l’acqua di rubinetto è considerata di ottima qualità, e spesso migliore delle acque imbottigliate? Secondo gli esperti, l’acqua minerale come bene di largo consumo si è sviluppato (quintuplicandosi) soprattutto a partire dagli Anni 80, a seguito degli scandali dovuti all’inquinamento delle falde causato dall’atrazina, un pesticida. Talvolta, per alcuni marchi noti, conta anche un sapore particolare, più gradevole e senza il cloro che talvolta si fa sentire nell’acqua di rubinetto.
In realtà i controlli effettuati sull’acqua di rubinetto, ormai da molti anni danno risultati tali da garantire in modo assoluto la bontà e la perfetta potabilità di quella pubblica. La legge prevede controlli settimanali a carico dei gestori dell’acqua pubblica, più controlli aggiuntivi autonomi ogni due settimane da parte delle Aziende sanitarie locali. E del resto, gli esami in laboratorio non rivelano differenze rilevabili tra rubinetto e minerale dal punto di vista della purezza. Il successo dell’acqua in bottiglia si spiega anche con il marketing. Sulle etichette ecco cime innevate e impervie; oppure, si propaganda l’assenza (o la presenza) di questo o quel salutare elemento. Di certo non viene sottolineato che in media la bottiglia deve compiere 700 chilometri su strada per arrivare sulla nostra tavola. E che per produrre 6 miliardi di bottiglie di plastica – che poi bisogna ben smaltire – servono 450 mila tonnellate di petrolio.