1 febbraio 2018
APPUNTI SU AMAZON PER GAZZETTA
ELENA TEBANO, CORRIERE.IT –
Un braccialetto che monitora in ogni momento la posizione delle mani del lavoratore e le guida vibrando se non è quella «giusta». Lo ha brevettato il colosso delle vendite online Amazon. La nuova tecnologia desta preoccupazione perché aumenta ancora la capacità dell’azienda di controllare i lavoratori: «Amazon — scrive GeekWire che ha dato notizia del nuovo brevetto— si è già guadagnata la reputazione di una società che trasforma i dipendenti, pagati poco, in robot umani che lavorano vicino ai veri e propri robot, portando avanti compiti ripetitivi di packaging il più velocemente possibile».
Il controllo a distanza
Il braccialetto è pensato per rendere più veloce la ricerca dei prodotti stoccati nei magazzini da parte dei dipendenti. Secondo quanto scrive GeekWire, che ha visto il brevetto, quando verrà effettuato un ordine su Amazon, i dettagli saranno trasmessi sul mini computer al polso del dipendente che dovrà scattare a prendere la merce, metterla in una scatola e passare al compito successivo. «I sistemi attuali per tracciare dove sono immagazzinati i prodotti dell’inventario possono richiedere al lavoratore di svolgere atti che gli fanno perdere tempo» scrivono nel documento gli ingegneri che hanno sviluppato la nuova tecnologia, «per questo sono interessanti tutti i nuovi metodi per tenere traccia di dove sono posizionati i prodotti dell’inventario». Il brevetto, depositato nel 2016 è stato riconosciuto ufficialmente questa settimana, e per il momento non è ancora stato adottato.
I ritmi di lavoro intensi
Amazon investe moltissimo nell’automazione dei processi: nelle settimane scorse ha aperto a Seattle il negozio «Amazon Go», un negozio senza casse, in cui i prodotti comprati dai clienti vengono tracciati automaticamente grazie a una app che monitora i clienti all’interno dello store. La società di Jeff Bezos inoltre è finita più volte al centro delle polemiche negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia per le condizioni di lavoro. All’azienda vengono contestati i ritmi di lavoro molto intensi stabiliti dagli algoritmi e gli obiettivi molto rigidi imposti ai dipendenti dei magazzini, che spesso non avrebbero neppure il tempo per andare in bagno e rischiano multe e sanzioni se non mantengono la produttività prevista. Come per esempio registrare 300 prodotti all’ora, cioè 5 al minuto, con la pistola laser per l’inventario. Si calcola inoltre che i magazzinieri dello stabilimento di stabilimento di Castel San Giovanni, nel Piacentino, percorrano circa 20 chilometri al giorno per prendere e spostare i pacchi.
La vertenza con i sindacati in Italia
A novembre i lavoratori italiani hanno scioperato per la prima volta per protestare contro le condizioni di lavoro ritenute troppo dure. La vertenza è ancora in corso e domani è previsto al ministero del Lavoro un incontro tra Giuliano Poletti e l’azienda per cercare di far ripartire il dialogo coni sindacati, dopo che la trattativa sul contratto aziendale (in discussione ci sono bonus economici, ma soprattutto la richieste di rivedere l’organizzazione e i carichi di lavoro) si è arenata prima di Natale.
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REPUBBLICA.IT –
L’ULTIMA trovata di Amazon per velocizzare la ricerca dei prodotti stoccati nei magazzini da parte dei dipendenti è il braccialetto wireless. Il gigante dell’ecommerce lo ha appena brevettato ed è in grado di monitorare con precisione dove si mettono le mani, vibrando per guidarle nella giusta direzione e di fatto controllando tutti i loro movimenti.
Il prototipo descritto da GeekWire trasmette i dati dell’ordine effettuato sul mini computer al polso del dipendente che dovrà scattare a prendere la merce, metterla in una scatola e passare al compito successivo. Il brevetto depositato nel 2016 è stato riconosciuto ufficialmente martedì scorso e adesso la soluzione che Amazon potrebbe adottare per sveltire le consegne non sembra più così lontana.
Si tratta, spiega Gizmodo, di un sistema basato su tre fattori: il braccialetto indossato dal lavoratore che comunica con i trasduttori a ultrasuoni posizionati nell’ambiente circostante e un ’’modulo di gestione’’ che permette di tracciare i movimenti. Il prossimo step, suggerisce il brevetto, è l’automazione totale dei processi che però al momento trasformerebbero sostanzialmente gli uomini in macchine controllate.
Ma si affaccia la questione privacy, visto che il braccialetto fornito dal datore di lavoro può essere anche un mezzo per sorvegliare i dipendenti. "Amazon - ricords GeekWire - si è già guadagnata la reputazione di una società che trasforma i dipendenti, pagati poco, in robot umani che lavorano vicino a veri robot, portando avanti compiti ripetitivi di packaging il più velocemente possibile" con l’obiettivo di centrare gli ambiziosi target di consegna fissati dalla società di Jeff Bezos.
Negli ultimi mesi del 2017 in Italia i dipendenti Amazon hanno deunciato condizioni di lavoro ritenute troppo dure, ricorrendo allo sciopero in occasione del Black Friday per chiedere un dialogo tra azienda e sindacati. "I ’pickers’ di Amazon per ogni turno, percorrono
dai 17 ai 20 chilometri attraverso lo stabilimento a movimentare merci e pacchi" denunciavano allora i rappresentati dei magazzinieri. Il contratto nazionale è tuttora sul tavolo della trattativa in attesa che venga rivisto, a cominciare da bonus economici e carichi di lavoro.
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Amazon brevetta braccialetti per monitorare dipendenti
GeekWire, obiettivo sarebbe ottimizzare il lavoro in magazzino (ANSA) - ROMA, 1 FEB - Ottimizzare il lavoro nei magazzini in cui si evadono gli ordini online con braccialetti "intelligenti" per i dipendenti in grado di monitorarne le attività: è l’idea brevettata da Amazon per velocizzare le operazioni di consegna. Lo riporta il sito GeekWire. Il sistema pensato dal colosso di Seattle si basa su braccialetti connessi all’inventario e agli ordini, in grado di controllare con precisione se le mani dei dipendenti si stanno muovendo nel posto "giusto". Insomma sapranno se lo staff sta compiendo i passaggi corretti e più veloci per evadere un ordine. Uno strumento pensato per rendere il lavoro più efficiente ma anche una potenziale forma di controllo che metterebbe a rischio la privacy del lavoratore. Per ora non ci sono indicazioni ufficiali di Amazon sull’effettiva realizzazione dei brevetti, ma il potenziale mezzo di sorveglianza potrebbe far discutere. In Italia i dipendenti di Amazon hanno protestato contro le condizioni di lavoro con uno sciopero in occasione del Black Friday.(ANSA). Y14-SAM 01-FEB-18 16:16 NNNN
Amazon brevetta braccialetti per monitorare dipendenti (2)
(ANSA) - ROMA, 1 FEB - I brevetti, depositati da Amazon nel 2016, sarebbero due. I braccialetti, secondo GeekWire, sarebbero anche in grado di inviare ai polsi dei dipendenti delle vibrazioni per indicare eventuali errori. Per gli autori del brevetto, riporta il sito, i dispositivi aggirano il bisogno di sistemi di monitoraggio più complessi e costosi di tipo "visivi" basati sull’intelligenza artificiale come quello alla base di Amazon Go, il negozio senza casse appena aperto a Seattle. (ANSA) Y14-SAM 01-FEB-18 16:23 NNNN
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ILSOLE24ORE.COM –
Il confine spesso indefinito tra ottimizzazione del lavoro e controllo dei dipendenti potrebbe presto subire un ulteriore spostamento: Amazon ha infatti rilasciato due brevetti che consentono di realizzare un braccialetto che è in grado di controllare con precisione se le mani dei dipendenti si stanno muovendo nel posto “giusto” durante il lavoro, connettendosi anche con i database degli inventari e degli ordini.
Tecnicamente, il sistema di braccialetti è in grado di monitorare se i magazzinieri mettono le mani nei posti giusti. I brevetti, pubblicati oggi, consentono infatti di realizzare braccialetti che emettono impulsi sonori ultrasonici e trasmissioni radio, che vengono poi captati da un sistema ricevente in grado di conoscere dove sono le mani dei lavoratori.
Il nuovo strumento che può essere realizzato grazie ai brevetti depositati dal colosso dell’ecommerce di Seattle consentirebbe quindi di ottimizzare il lavoro nei magazzini della società, ma può anche diventare uno strumento di controllo del lavoratore. L’azienda, interpellata a proposito da Il Sole 24 Ore Radiocor Plus, ha rilasciato questa dichiarazione: «Non rilasciamo commenti relativamente ai brevetti. In Amazon siamo attenti a garantire un ambiente di lavoro sicuro e inclusivo. La sicurezza e il benessere dei nostri dipendenti sono la nostra priorità».
Sindacati in allarme
Sono arrivate da subito diverse reazioni allarmate da parte dei sindacati: al volo, entrando a un convegno, la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso ha detto sarcastica: «C’è anche la palla al piede? La notizia si commenta da sola». Anche Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil, è stato netto: «Ne penso tutto il male possibile. Essersi divisi tra pro global e no global senza pensare alla regolazione, oggi permette alle multinazionali di fare il bello e il cattivo tempo dappertutto nel mondo. Dobbiamo fare scioperi 4.0 contro le multinazionali - ha proseguito Barbagallo- per convincere i governi a fare regolazioni. Bisogna colpirli nel portafoglio. Si fanno piattaforme digitali per fare nuovo caporalato e nuovo sfruttamento .Si mandano i giovani a lavorare a 3-5 euro l’ora, è una vergogna internazionale a cui bisogna mettere rimedio dando più sovranità al sindacato europeo e internazionale», ha concluso il leader della Uil.
Dello stesso tono la reazione di Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl: «È evidente che ci vuole ancora tanto lavoro per affermare in ogni dove che il lavoro deve avere dignità e rispetto per le persone. Amazon deve aprire un confronto con i sindacati e rispettare il modello di relazioni industriali che esiste nel nostro paese». Rincara la dose Paolo Capone, segretario generale Ugl: il braccialetto è «Uno strumento schiavista che rischia di ledere fortemente la privacy dei lavoratori, poiché li sorveglia durante tutto il ciclo produttivo. In Italia, qualsiasi attività di controllo sul lavoro dei dipendenti è illegale».
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RICCARDO LUNA, AGI.IT –
Per capire che cosa ha in mente Jeff Bezos per il nostro futuro e a cosa punta davvero l’ultimo brevetto di Amazon che sta facendo discutere il mondo, consiglio di riguardare - magari su YouTube - Tempi Moderni. È un film del 1936, uno dei capolavori di Charlie Chaplin. È un film muto, in bianco a nero, quindi può sembrare antichissimo eppure a suo modo è visionario. Parla di noi. Il protagonista è un operaio di una catena di montaggio che deve stringere bulloni, stringere bulloni e basta, al punto che dopo poco tempo diventa egli stesso un elemento della catena di montaggio. Una macchina.
E veniamo al doppio brevetto che ha appena ottenuto Amazon, dopo quasi due anni di attesa dalla domanda: si tratta di un braccialetto che attraverso ultrasuoni o onde radio consente di sapere cosa sta facendo il lavoratore in un magazzino, quale pacco sta prendendo, dove la sta depositando, e di indirizzarlo con delle vibrazioni silenziose. Secondo Amazon si tratta di uno strumento che serve ad evitare al magazziniere di perdere tempo con il pacco sbagliato - e rende inutile un sistema di monitoraggio video continuo dei lavoratori.
Eppure c’è qualcosa di inquietante in questi magazzinieri radiocomandati. Anche perché già adesso le performance richieste ai lavoratori di Amazon non sono banali: una inchiesta della BBC qualche anno fa ha svelato che in un turno un magazziniere percorre 17 chilometri e gestisce un ordine ogni 33 secondi. Certo i brevetti sono solo la protezione riconosciuta a tecnologie innovative che non è detto che vengano poi utilizzati: recentemente Amazon ha brevettato un sistema di tunnel sotterranei per la consegna dei pacchi; e ha fatto domanda che per un sistema di stazioni volanti servite da droni. Roba da fantascienza. Ma poi invece qualcosa diventa realtà: qualche giorno fa Amazon ha inaugurato il primo supermercato senza commessi e cassieri. Senza umani, se non i clienti. Nei magazzini di Amazon invece questi brevetti sembrano dirci che gli umani resisteranno. A patto di robottizzarsi un po’. I tempi moderni di Chaplin assomigliano sempre di più ai nostri.
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Amazon brevetta braccialetto per tenere traccia dei magazzinieri Sulla carta questo sistema è pensato per risparmiare tempo New York, 1 feb. (askanews) - Un braccialetto per tenere traccia in tempo reale della posizione dei dipendenti nei magazzini e persino dei movimenti delle loro mani. È quello che ha brevettato Amazon e che ha subito fatto esplodere le polemiche. Anche tra i sindacati italiani. Sulla carta un tale sistema è pensato per risparmiare tempo, e dunque denaro, ma in pratica si teme che Amazon possa trasformarsi in un Grande Fratello. E questo soprattutto alla luce di varie accuse contro il gruppo per le condizioni intollerabili nei suoi magazzini, incluse pause a tempo per recarsi in bagno e timer per monitorare il numero di scatole impacchettate in un’ora da un dipendente. Il primo a dare notizia di un paio di brevetti depositati nel 2016 e di cui il colosso americano dell’e-commerce ha ottenuto il via libera il 30 gennaio scorso è stato GeekWire. A24/Spa 20180201T182948Z
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Amazon: sale in Borsa e vale 700 miliardi di dollari
Wsj, in un mese +25%, in 16 seduta da 600 a 700 mld dlr (ANSA) - NEW YORK, 31 GEN - Amazon vale 700 miliardi di dollari. Il colosso di Jeff Bezos sale in Borsa e sfonda per la prima volta la nuova soglia ’psicologica’ che l’avvicina ad Apple, Alphabet e Microsoft. I titoli di Amazon - riporta il Wall Street Journal - sono saliti nell’ultimo mese del 25%, spingendo la sua capitalizzazione di mercato da 600 miliardi a 700 miliardi di dollari in 16 sedute.(ANSA). DRZ 31-GEN-18 19:10 NNNN
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Amazon apre al pubblico il primo negozio senza casse
A Seattle, sfrutta sensori e intelligenza artificiale (ANSA-AP) - ROMA, 22 GEN - Dopo più di un anno di test apre a Seattle, negli Usa, il primo supermercato "senza casse" di Amazon. Nel negozio, che si chiama Amazon Go, i cassieri sono sostituiti da un sofisticato sistema di videocamere, sensori e intelligenza artificiale che "guarda" cosa i clienti mettono nel carrello (e anche cosa tolgono) e addebita sul loro account Amazon il conto quando escono dal minimarket. L’apertura era prevista a inizio 2017, ma a marzo scorso la compagnia l’aveva sospesa. Secondo quanto aveva riportato allora il Wall Street Journal, il "cervello" informatico del negozio aveva dei problemi a tenere sotto controllo più di 20 persone contemporaneamente. Problemi che evidentemente ora sono stati superati. Il negozio permette a potenziali clienti di entrare usando lo smartphone solo all’inizio, come fosse un tesserino di identificazione, e poi di fare la spesa e uscire senza tirare fuori il portafogli. Amazon Go addebita la spesa come fossero acquisti fatti online. Non si sa se e quando la compagnia porterà questo tipo di negozio in altre città americane o del mondo, ma la novità potrebbe far discutere per la potenziale perdita di posti di lavoro nel settore e per le telecamere ovunque che, in stile "Grande Fratello", seguono le persone negli acquisti. Il negozio comunque non è completamente privo di personale: ci sono dei commessi che si occupano della preparazione dei cibi pronti in vendita, degli scaffali e dell’assistenza ai clienti.(ANSA-AP). Y14-VI 22-GEN-18 10:26 NNNN
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>>>ANSA/ Bezos sempre piu’ paperone, vale 105,1 miliardi dollari
’Umiliato’ Gates. Per molti e’ l’uomo piu’ ricco di tutti tempi (ANSA) - NEW YORK, 9 GEN - Jeff Bezos sempre piu’ paperone. La fortuna del fondatore di Amazon vola a 105,1 miliardi di dollari ’umiliando’ Bill Gates: Bezos e’ infatti piu’ ricco di quanto Gates non sia mai stato nella sua carriera e, secondo molti, e’ il paperone di tutti i tempi. La corsa di Bezos e’ alimentata dalla volata dei titoli Amazon, che dall’inizio dell’anno hanno già guadagnato il 6,6% grazie a stime di un vero e proprio boom per Amazon durante le appena passate festività. Il colosso avrebbe infatti catturato l’89% delle spese online fra la fine di novembre e dicembre. E la corsa non sembra accennare rallentamenti con i molti piani in cantiere di Amazon, dai successi ai Golden Globe all’attesa decisione sulla sua seconda sede negli Stati Uniti. Senza dimenticare l’affondo nell’industria farmaceutica con licenze ottenuti per la vendita all’ingrosso di medicinali in diversi stati. Piani che spingono alcuni analisti a rivedere al rialzo il prezzo di riferimento di Amazon a 1.400 dollari per azione dai 1.250 dollari attuali. Bezos ha strappato a Gates il titolo di uomo più ricco del mondo in ottobre, quando valeva solo 93,8 miliardi di dollari. Il mese successivo il fondatore di Amazon valeva già 100 miliardi. Pochi altri giorni e si arriva ai 105,1 miliardi di oggi. Una cifra record che gli consente di strappare a Gates anche il primato di uomo più ricco di sempre conquistato nel 1999 quando aveva una fortuna di 100 miliardi di dollari. La volta di Bezos spinge alcuni a definirlo l’uomo più ricco di tutti i tempi ma non tutti sono d’accordo. Gates se non avesse donato gran parte della sua fortuna alla fondazione Bill & Melissa Gates potrebbe contrare su 150 miliardi di dollari. Inoltre - notano alcuni osservatori - i 100 miliardi di Gates nel 1999 valgono piu’ dei 105,1 miliardi di Bezos attuali: calcolando l’inflazione i 100 miliardi di Gates si traducono in 147 miliardi di oggi. Un altro esempio per ’ridimensionare’ la fortuna di Bezos e’ il parallelo con John Rockefeller, il primo miliardario considerato l’americano piu’ ricco della storia. Rockefeller nel 1918 aveva 1,5 miliardi di dollari che, adeguati all’inflazione, si traducono in 24 miliardi di dollari di oggi. Ma gli 1,8 miliardi di Rockefeller nel 1918 erano pari al 2% del pil americano: usando questo parametro, Bezos per uguagliare Rockefeller dovrebbe valere 350 miliardi di dollari considerato che il Pil americano e’ ora di 18.000 miliardi. (ANSA). DRZ 09-GEN-18 19:01 NNNN
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Jeff Bezos è sempre più ricco: supera i 105 miliardi di dollari
Jeff Bezos è sempre più ricco: supera i 105 miliardi di dollari Record che batte il precedente fissato da Bill Gates nel 1999 New York, 9 gen. (askanews) - Jeff Bezos continua a essere l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio personale che supera i 105 miliardi di dollari. Un record che batte il precedente raggiunto nel 1999 dal cofondatore di Microsoft, Bill Gates, che per anni è stato l’uomo più ricco al mondo. Proprio oggi le azioni di Amazon, società di cui Bezos è amministratore delegato, continuano a salire a Wall Street, con un guadagno del 6,6% dall’inizio dell’anno. Bezos ha superato i 100 miliardi di dollari lo scorso novembre, dopo le vendite di Amazon per il Black Friday. Gates invece in questo momento ha un patrimonio personale di 93,3 miliardi di dollari ed era stato superato da Bezos a ottobre. I dati sono forniti dal Bloomberg Billionaires Index, aggiornato ogni giorno in riferimento agli andamenti della borsa. Se Gates non avesse donato parte dei suoi asset alla sua fondazione, la Bill & Melinda Gates Foundation, continuerebbe a essere l’uomo più ricco del mondo con oltre 150 miliardi di dollari. A24/Pau 20180109T175901Z
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AMAZON È IL MARCHIO PIU’ RICCO AL MONDO – FABRIZIO MASSARO, CORRIERE.IT –
Il marchio Amazon? Vale 150 miliardi di dollari, il più ricco del mondo. Solo in un anno il valore del marchio del colosso dell’e-commerce si è incrementato del 42%, salendo dalla terza posizione del 2017 e superando Google e Apple. La classifica 2018 dei 500 maggiori brand mondiali è stata pubblicata giovedì 1 da Brand Finance, l’agenzia indipendente di consulenza strategica e valutazione marchi a livello mondiale. Dei 500 marchi più importanti (per valore e per forza) al mondo, nove sono di aziende italiane: Tim (al 178° posto dal precedente 238esimo) è il brand italiano che ha performato meglio, sottolinea Brand Finance. Nella classifica compaiono anche Eni (al 144° posto), Enel (180), Gucci (181), Ferrari (259), Generali (265), Poste Italiane (366), Intesa Sanpaolo (342), Prada (472). Il «valore del marchio» equivale al vantaggio economico netto che il proprietario otterrebbe concedendolo in licenza a un terzo; la «forza del marchio» rappresenta invece la percentuale delle entrate di un’azienda che è attribuibile al marchio.
AI primi dieci posti ci sono, sotto Amazon, Google, Apple, in gran parte aziende hi-tech o di tlc come Samsung (4°), Facebook (5°), At&T (6°), Microsoft (7°), Verizon (8°), con il colosso della grande distribuzione Usa, Walmart al nono posto e la banca cinese Icbc al decimo posto.
Secondo Brand Finance, il marchio Amazon si è potenziato grazie all’estensione enorme del business del gruppo, da semplice libreria online a fornitore di infrastrutture cloud e produttore di elettronica; «l’acquisizione di Whole Foods – 13,7 miliardi di dollari - ha lanciato Amazon anche nel mondo reale proiettando la multinazionale al di là del mero spazio digitale», è la lettura di Brand Finance, guidata in Italia da Massimo Pizzo. «Amazon, oltre ad essere già presente nei settori delle spedizioni e dello streaming di musica e video, secondo alcuni analisti si starebbe preparando all’acquisizione di un istituto bancario nel 2018. Con l’obiettivo di Amazon di diventare il brand per tutti gli aspetti (o quasi) della vita quotidiana sembra che nessun settore sia al sicuro».
Apple è rimasta al secondo posto nella classifica con 146,3 miliardi di dollari ma, secondo Brand Finance, «il futuro del marchio non sembra roseo. Apple non è riuscita a diversificarsi» e il costo elevato dell’iPhoneX «scoraggia molti clienti meno dogmatici disposti ad accontentarsi di un modello simile ma meno costoso dai concorrenti di Apple». Al terzo posto è scivolato Google, l’anno scorso al primo posto nella classifica, con 120,9 miliardi di dollari (+10%): «Analogamente ad Apple, la sua attenzione a determinati settori la sta trattenendo dallo scatenare tutto il potenziale del suo marchio», commenta Brand Finance. «Gli investimenti di Google in auto a guida automatica e telefoni mancano ancora della portata e dell’audacia dimostrata dalle nuove iniziative di Amazon.
Il marchio più forte al mondo è invece Disney, che dopo l’acquisto di una quota di maggioranza in 21st Century Fox, «ha l’opportunità di sviluppare ulteriormente il proprio marchio e arrivare ad ancora più consumatori in tutto il mondo», commenta Brand Finance. «L’acquisizione di aziende come: Star India - che raggiunge centinaia di milioni di spettatori nel subcontinente, Sky - con presenza in tutto il Regno Unito, Irlanda, Germania, Austria e Italia, oltre a una partecipazione del 60% in Hulu - probabilmente uno dei maggiori concorrenti di Netflix, significa che la Disney può ora sfruttare la sua maggiore esposizione internazionale per affermare il suo marchio come qualcosa di più di uno studio di produzione cinematografica per bambini».
Fra gli italiani, oltre a Tim anche Gucci, Gruppo Generali, Poste, Gruppo Intesa San Paolo ed Enel hanno guadagnato posizioni nella Global 500. Ferrari scende pochissimo, arretra Prada mentre Eni è l’unico a perdere valore e posizioni. Complessivamente i 9 brand italiani in classifica hanno incrementato il proprio valore economico del 25% in più rispetto alla media. «Le buone performance sono dovute alla forza con cui influenzano le scelte dei clienti, alla riduzione della corporate tax e all’apprezzamento dell’euro, in quanto la classifica è redatta in dollari». I brand italiani estremamente forti sono passati da 4 a 6. Tra questi ci sono campioni assoluti come Ferrari, che è ritornata sul podio dei brand più influenti, ed Enel, il brand più forte tra tutte le utility del mondo.
A livello di settore, nella finanza e nelle banche dominano i cinesi, con i colossi bancari Icbc (al decimo posto con 59 miliardi di dollari) e China Construction Bank (undicesimo, 56,7 miliardi), con al terzo posto l’americana Wells Fargo (14 posto con 22 miliardi) –
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ILSOLE24ORE.COM –
È Amazon il marchio di maggior valore economico al mondo. Precede Apple e Google grazie a un incremento di valore del 42% negli ultimi dodici mesi che lo ha portato a una quotazione di 150.8 miliardi di dollari. Sono questi i dati della l’ultima Global 500 di Brand Finance che mette in fila le prime 500 aziende del mondo.
L’ascesa di Amazon
La storia del colosso di Jeff Bezos è una continua ascesa verso la vetta. Quella che un tempo era considerata una grande libreria online, negli anni ha saputo trasformarsi esplorando e conquistando nuovi segmenti di mercato: dal marketplace online fino al mercato del cloud. Nel 2017, inoltre, ha acquistato la catena di supermercati Whole Foods, aprendo nuovi scenari. Oggi Amazon è venditore, fa logistica, è produttore. E secondo alcuni analisti si starebbe preparando all’acquisizione di un istituto bancario nel corso del 2018.
Apple e Google sul podio
Secondo gli analisti di Brand Finance, anche se Apple ha difeso bene il secondo posto nella classifica - il valore è balzato quest’anno a 146,3 miliardi di dollari rispetto al forte calo dell’anno precedente - il futuro del marchio non sembra roseo. Apple non è riuscita a diversificarsi. Infatti gli iPhone di punta sono responsabili di due terzi delle entrate, inoltre le vendite degli iPhone X nel quarto trimestre 2017 sono state inferiori alle aspettative. Per Brand Finance, il prezzo elevato scoraggia molti clienti meno dogmatici disposti ad accontentarsi di un modello simile ma meno costoso dai concorrenti di Apple. Google, invece, perde due posizioni, lascia il primato con una crescita del valore del marchio relativamente lenta del 10% a 120,9 miliardi di dollari.
Gli annunci online hanno generato più traffico del previsto poiché i clic aggregati a pagamento sono aumentati del 47% nel terzo trimestre del 2017, aumentando i ricavi del marchio. Tuttavia, per competere con i marchi più importanti del mondo, far bene o anche molto bene non è chiaramente sufficiente. Nei primi dieci anche Samsung (quarta), Facebook (quinta) e Microsoft (settima).
I nove brand italiani
Tim è il brand italiano che ha performato meglio (da 238esima a 178esima), ma anche Gucci, Gruppo Generali, Poste, Gruppo Intesa San Paolo ed Enel hanno guadagnato posizioni nella Global 500. Ferrari scende pochissimo (da 257 a 259). Prada scende un po’ di più, ma si rifarà nella classifica di settore dove guadagnerà posizioni. Eni è l’unico tra i 9 big italiani in classifica a perdere valore e posizioni (era 119esima e oggi è 144esima, ma rimane la prima in classifica fra gli italiani). Complessivamente i 9 brand italiani in classifica hanno incrementato il proprio valore economico del 25% in più rispetto alla media. Le buone performance sono dovute alla forza con cui influenzano le scelte dei clienti, alla riduzione della corporate tax e all’apprezzamento dell’euro, in quanto la classifica è redatta in dollari.
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MILENA GABANELLI SUL MERCATO NERO, CORRIERE DELLA SERA 22/1 –
Comprare online è molto comodo, ma soprattutto possiamo cercare, di qualunque prodotto, quello che costa meno, certi di trovarlo. Spesso è un prodotto contraffatto made in China, venduto sulle piattaforme Alibaba, il gigante dell’e-commerce che ogni giorno processa 832 milioni di ordini. Sulla sua piattaforma si compra tutto: dall’abbigliamento all’agroalimentare, ai pezzi di ricambio, agli articoli per la casa, ai farmaci, all’elettronica. Oggi funziona così: sulle piattaforme, dove ogni giorno approdano migliaia di nuovi venditori, nessuno è obbligato a mostrare la licenza per vendere un certo prodotto. E allora come si difendono le imprese quando si accorgono che qualcuno sta vendendo per esempio le loro scarpe a un prezzo stracciato?
Possono lamentarsi con Alibaba, e, se sono in grado di indicare lo specifico venditore, magari quell’offerta viene tolta dalla piattaforma, per ricomparire probabilmente dopo due settimane. Oppure possono rivolgersi all’autorità cinese, che di solito risponde: «Cercatevi un investigatore e trovate la fabbrica dove producono le scarpe contraffatte; dopo noi interveniamo». In pratica, se quel marchio non lo hai registrato in Cina, è impossibile far rimuovere la pubblicità dalle piattaforme, mentre è probabile che lo stesso marchio lo abbia registrato qualcun altro, visto che i cinesi conoscono in tempo reale ogni brand esistente sul mercato internazionale. Il valore del falso ammontava nel 2016 a 1,7 trilioni di dollari, e nei prossimi 5 anni è stimata una crescita del 70 per cento.
Il vuoto normativoI pirati la fanno franca perché la legge cinese non è chiara, nemmeno per gli avvocati, e alla fine ai proprietari dei marchi non conviene fare causa per almeno tre motivi: 1) i risarcimenti sono bassi; 2) Alibaba ha enormi risorse e grandi avvocati, che hanno una grossa influenza sui Tribunali locali; 3) di solito le aziende stesse vogliono fare affari attraverso il gruppo Alibaba, e se lo denunci, diventa più difficile.
Lo scorso giugno, a Detroit, alla presenza di centinaia di imprenditori, il capo di Alibaba, Jack Ma, ha ammesso: «La contraffazione è il nostro cancro». Ogni tanto annuncia la chiusura di qualche migliaio di negozi virtuali, estromette qualche centinaio di operatori, e chiede ai grandi marchi: «Sbarcate qui, perché io voglio un mercato pulito»! Apprezzabile buona volontà, che non sposta il problema di un millimetro, perché chi deve intervenire è il governo cinese, che da una parte dichiara a gran voce di voler proteggere le imprese straniere, ma in anticamera dice: «Non diamo troppa protezione ai brand, altrimenti salta tutta l’industria del falso e Alibaba porta 12 milioni di posti di lavoro».
Ne è la prova il fatto che, da 5 anni, in Cina stanno elaborando una legge sull’e-commerce, e nell’ultima bozza c’è scritto: «Di fronte a una segnalazione di contraffazione, se il venditore garantisce che non è vero e ne produce documentazione (a sua volta falsa, ndr ), nessuno va in tribunale». Una norma che, per le piattaforme, non prevede alcuna responsabilità, né l’obbligo di approfondire le prove. Il problema non è solo Alibaba: mentre navighi su Internet ti compare la pubblicità di un prodotto, cliccando finisci in un sito, una email, un social media o WhatsApp, dove puoi acquistare quello stesso prodotto (falso). Il 99% dei ricambi e adattatori per iPhone non sono sicuri. Diventa sempre più normale il pagamento in bitcoin, anche se Alibaba oggi non li accetta... non ancora. Si dice: «Segui i soldi, e arriverai al ladro». Ma, con i bitcoin cosa segui?
Il peso delle scelteIl consumatore deve sapere che cercando per ogni prodotto il prezzo più basso, alimenta di fatto la produzione parallela del falso. Il risultato è che le piccole e medie imprese italiane trovano i loro marchi dappertutto, da 1688.com (la piattaforma che vende all’ingrosso, ma dove possono comprare anche i consumatori retail ) a Taobao o altre piattaforme Alibaba. Come fanno a sopravvivere se devono competere con la contraffazione, il mercato nero e i software delle piattaforme che danno la priorità agli articoli che costano meno? Hanno una sola strada: quella di abbassare a loro volta i prezzi. Il che significa abbassare gli stipendi, e ridurre al minimo i contributi e i diritti, quelli a fatica conquistati: le ferie, la malattia, la maternità. Si esce dal territorio sano della libera concorrenza, per entrare in quello malato del dumping sociale.
Chi ha la forza di imporre un cambio di rotta sono i titolari dei grandi marchi mondiali e le associazioni di categoria, che dovrebbero investire in una ricerca seria sull’impatto economico e sociale; e poi fare attività di lobbying sui propri governi, spingendoli a fare pressioni sul governo cinese. Su Internet la Cina è il mondo, perché con Dhl spedisce i prodotti, uno per uno, ovunque nel pianeta, e le dogane raramente controllano il singolo pacchetto. Questo vuol dire che se i controlli non partono dalla Cina, non c’è speranza di arrestare la contraffazione globale.
Il piano di crescitaOggi le previsioni di crescita di Alibaba sono enormi: conta di capitalizzare 1.000 miliardi di dollari entro il 2020, battendo Apple, Alphabet, Amazon, Facebook, Tencent. Il suo fondatore Jack Ma ha dichiarato a Newsweek : «La Cina è cambiata grazie a noi negli ultimi 15 anni. Ora speriamo che il mondo cambi grazie a noi nei prossimi quindici». Il colosso sta facendo acquisizioni e investimenti in tutti i settori e in tutto il mondo: dalle società che si occupano di distribuzione a catene di negozi e supermercati, dalla stampa ai media, dalle lotterie, allo sport, ai servizi sanitari. Se riuscirà a comprare anche una compagnia di servizi di pagamento (come la Western Union per esempio), sarà più facile costruire una piattaforma fuori dalla Cina, aprendo così le porte a una ben maggior vendita internazionale di prodotti contraffatti. Da un giorno all’altro le cose potrebbero andare dieci volte peggio. Il governo americano ha appena rifiutato la richiesta di Alibaba di comprare MoneyGram. Grazie Trump, onestamente.
Nota finale: secondo Jack Ma, l’evasione fiscale non solo è i llegale, ma soprattutto immorale e ha dichiarato che ogni impresa deve pagare la sua parte attraverso le tasse, visto che le aziende possono lavorare solo grazie all’infrastruttura pagata dai cittadini. Quindi, quanto paga questo colosso in tasse? Secondo il South China Morning Post, giornale posseduto da Alibaba, il gigante di e-commerce e la sua affiliata finanziaria Ant Financial hanno pagato, nel 2016, un totale di 3,5 mi liardi di dollari di tasse, continuando a essere il maggior contribuente della Cina. C’è però un «MA» (inteso come congiunzione avversativa): tutti i rami dell’ecosistema Alibaba sono attaccati al tronco della società madre, l’Alibaba Group Holding Limited, che ha sede nelle Cayman Islands. E quanto paga di tasse? Zero, perché alle Cayman non è previsto nessun tipo di tassazione per le società.
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BEZOS, IL PIU’ RICCO DELLA STORIA –
WASHINGTON L’uomo più ricco della storia è l’ultimo campione dei«geni del garage». Jeff Bezos, come Bill Gates, Steve Jobs e altri, trovava rifugio e ispirazione nella rimessa della sua casa di Seattle. Nel 1994 era già un trentenne brillante. Laurea in ingegneria a Princeton, un passaggio a Wall Street, una prima esperienza nel commercio internazionale con la Fitel, l’approdo all’hedge fund di New York, De Shaw & Co. Qui, nel 1992, aveva conosciuto MacKenzie Tuttle, che sposò l’anno dopo: la compagna della vita con cui ha avuto quattro figli.
Jeff veniva da un’infanzia non semplice: sua madre, Jacklyn Gise, lo ebbe nel 1964 quando era ancora adolescente da Ted Jorgensen, da cui divorziò l’anno dopo. Nel 1968 Jacklyn si trasferì a Houston con Miguel Bezos, un immigrato cubano che prestò diventò ingegnere della Exxon.
In quel 1994, dunque, Jeff aveva soldi, posizione sociale, un impiego d’élite: quanto bastava per soddisfare anche le ambizioni più esigenti. Niente rispetto a quello che sarebbe accaduto in quell’anno: Jeff inventa un nuovo formato commerciale, una libreria online che chiama «Cadabra» e poi «Amazon», come il Rio delle Amazzoni. Nel 1999 è già sulla copertina di Time, come persona dell’anno. Il decollo è stato verticale, un po’ come quello del razzo New Glenn, l’ultimo progetto di «Blue Origin», una delle società dell’imprenditore.
Ricchezza e immaginazione. Se non un eroe, certamente Bezos è uno dei personaggi chiave del nostro tempo. La classifica di Bloomberg ora gli accredita un patrimonio personale stimato in 105 miliardi di dollari, considerando la capitalizzazione di Borsa delle sue azioni. Ha scavalcato Bill Gates, fermo a 93,3 miliardi di dollari, a cui, però andrebbero aggiunti i circa 63 miliardi di dollari donati in beneficenza alla sua Fondazione.
Libri e poi dvd, videogiochi, macchine fotografiche, elettrodomestici. L’espansione di Amazon è fulminea, inarrestabile e mondiale. Se si vuole provare a definire «la dottrina Bezos» si deve partire da questa voracità insaziabile, questa spinta a debordare. Jeff è un onnivoro che ama raccontarsi come un uomo di grandi curiosità e passioni. A cinque anni, dice, rimase «folgorato» dallo sbarco sulla Luna. Come altri miliardi di persone, verrebbe da dire. Bezos, però, nel 2009 fondò «Blue Origin» e ora pianifica i primi voli di turismo spaziale per il 2019.
Ma anche sulla Terra l’orizzonte è ampio. Nel 2013 il businessman rivolge lo sguardo all’editoria, uno dei settori più maturi del mercato. Compra, per 250 milioni di dollari, il Washington Post, uno de quotidiani più importanti, a quel tempo piuttosto sofferente. Proprio ieri sono uscite le ultime cifre sulla gestione. Il giornale, con 800 reporter, è in utile per il secondo anno consecutivo e progetta un’ulteriore espansione. Guadagna con gli abbonamenti, che sono raddoppiati dal gennaio scorso. Il dato più sorprendente è che l’azienda ha aumentato i ricavi anche con la pubblicità digitale, nonostante la concorrenza micidiale di Facebook e di Google. C’è un po’ di «effetto Trump» in tutto questo. Sotto la testata si legge: «Democray dies in darkness».
Il core business, però, ruota sempre intorno ad Amazon, cui ha affiancato, nell’agosto del 2017, Whole Foods, la grande catena di supermercati di qualità negli Stati Uniti. Un’acquisizione record da 13,7 miliardi di dollari. Il progetto prevede: riduzione dei prezzi, distribuzione a domicilio ancora più capillare.
Ma non mancano le contraddizioni. L’editore del «liberal» Post litiga spesso con i sindacati, con i «maratoneti», i dipendenti dei magazzini Amazon, che percorrono chilometri e chilometri al giorno tra le linee di distribuzione. La Commissione europea lo accusa di non pagare il dovuto al fisco.
Intanto però tutti continuano a cercarlo. Bezos ha aperto un’asta per la nuova sede di Amazon negli Stati Uniti. Le più importanti città americane, a cominciare da New York, si sono messe in coda.
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FABIO SAVELLI, CORRIERE DELLA SERA 25/11/2017 –
C’è un dettaglio per spiegare il cortocircuito Amazon. È l’incentivo a dimettersi. A lasciare l’azienda dopo un po’ di tempo. È una rarità, soprattutto se corrisposto a inizio carriera. Per il fondatore Jeff Bezos, cresciuto nel mercato del lavoro più liquido al mondo, si deve restare solo se motivati. Per incentivare chi ha altri sogni nel cassetto l’azienda rimborsa fino al 95% delle spese sostenute in libri e corsi di formazione. Per i sindacati – compatti nella proclamazione dello sciopero ieri durante il Black Friday a Castel San Giovanni (nel piacentino) e in sei diverse filiali in Germania – è la controprova del lavoro logorante dei “pickers”. Fino a venti chilometri al giorno per chi deve muoversi da un punto all’altro per “prendere” il pacco, inserirlo negli scaffali o consegnarlo per la confezione e la spedizione. «Con la complicazione – racconta un magazziniere – delle patologie causate dalla ripetitività dei movimenti per turni di 8 ore, al netto degli straordinari».
Amazon si sta tramutando in una piattaforma logistica globale. Soltanto in Italia ha tre centri distributivi. Quello di Castel San Giovanni, aperto da cinque anni. Il meno automatizzato, il più sindacalizzato nonostante i confederali denuncino la difficoltà di negoziare con una multinazionale che «contingenta persino i tempi del confronto con i delegati», spiega Massimo Mensi, di Filcams Cgil. L’unico ad applicare il «contratto del commercio», spiega Francesca Benedetti, Fisascat Cisl. Più economicamente vantaggioso di quello della logistica applicato nei magazzini di Vercelli (appena aperto) e Passo Corese, vicino Rieti.
I lavoratori hanno presentato all’azienda un documento in cui chiedono la stipula di un contratto integrativo che ritocchi verso l’alto le maggiorazioni dei turni festivi e notturni. Una “piattaforma” che Amazon Italia ha rispedito al mittente. Il punto di partenza dello sciopero (replicato anche nei centri di Bad Hersfeld, Lipsia, Rheinberg, Werne, Graben e Coblenza) è la straordinarietà del modello Amazon, che sta sparigliando la concorrenza ovunque (al netto della Cina) e sta accrescendo la forza lavoro a causa del boom del commercio elettronico. Soltanto nel piacentino Amazon conta 3.600 dipendenti. Duemila hanno il badge verde. Sono assunti da società di somministrazione. Ieri hanno regolarmente lavorato – non senza momenti di tensione e qualche fischio – perché non avevano alternative. Circa 1.600 hanno il badge blu. Sono a tempo indeterminato. Lavorano su tre turni da otto, l’ultimo comincia alle 22.30 e termina alle 6. Prendono circa 1.100-1.200 euro al mese. «Il 10% ha aderito allo sciopero», dicono fonti aziendali. «Il 60%», replicano i sindacati. Per Susanna Camusso, segretario generale Cgil, «questa è una battaglia di civiltà».
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RENZO ROSATI, IL FOGLIO NOVEMBRE 2017 –
Lo avessero dichiarato per il Black Friday di un anno fa, lo sciopero avrebbe fatto dei dipendenti del deposito Amazon di Piacenza un simbolo. Almeno per la retorica mediatica. I Davide che si oppongono allo sfruttamento del Golia-Jeff Bezos; ma anche della difesa del “piccolo è bello”, l’italica bottega divorata dall’e-commerce colonialista amerikano. Quest’anno la guerra di religione non c’è stata, solo qualche solidarietà pre-elettorale. Oltre non si è andati: la protesta è inquadrata dalla Cisl “nella dialettica aziendale in un settore ad alti guadagni”. Tradotto: partecipare agli utili, come pare legittimo per un sito che nel Black Friday 2016 ha smaltito 1,2 milioni di ordini. E del resto con questa logica si sciopererà anche in sei siti tedeschi. Tra un anno magari una protesta simile verrà viene paragonata a quelle dei taxi, dei trasporti pubblici e dei professori: si parlerà di sequestro del paese, benché Amazon sia privata e scuola e tassisti servizi pubblici.
La realtà è che l’e-commerce non è più il diavolo, come ovunque nel mondo. Secondo la Camera di commercio di Roma il 57 per cento dei romani fa acquisti online contro il 45 per cento dei milanesi. Magari la capitale è anche penalizzata dalla difficoltà di andare in centro, però è un (raro) segnale di cosmopolitismo. Secondo uno studio del Politecnico di Milano il commercio elettronico vale in Italia già 23,6 miliardi; cioè, per Nielasen, il 14-15 per cento delle vendite totali di beni di largo consumo. Ma mentre nel 2017 il trend di aumento dei volumi tradizionali è in flessione dal più 1,2 allo 0,9 per cento, l’incremento annuale dell’e-commerce è del 17 per cento, con 22 milioni di compratori.
Se ne lamenta soprattutto la grande distribuzione, che quest’anno prevede di fatturare 114 miliardi, con 2 milioni di addetti e 60 milioni di consumatori a settimana. La lagnanza riguarda le tasse: il web come è noto paga poco, o elude, il che è un problema europeo. “E le piattaforme digitali sono attive giorno e notte per 365 giorni l’anno”, ma questo è un problema italiano. Invece l’altra grande accusa rivolta all’e-commerce, la chiusura dei negozi tradizionali, non appare motivata. Secondo l’Istat il calo di occupazione nel commercio è stato tra il 2008 e il 2015 di 258 mila unità, ma con un forte recupero nel 2016 e 2017: calo nettamente inferiore a quello nell’industria e nelle costruzioni, e compensato, nel terziario, proprio dalla tenuta nella logistica e dall’aumento dei servizi alle imprese. Dunque a colpire il settore è stata la crisi, non l’online che caso mai ha dato una mano. Come del resto nei paesi in cui l’e-commerce è più sviluppato, Usa, Germania e Cina, con la disoccupazione ai minimi del 4 per cento. Molti negozi in Italia sono chiusi, certo (267 mila in cinque anni), ma anche perché ne avevamo 130 ogni 10 mila abitanti, rispetto ai 64 della Francia, ai 35 del Regno Unito, ai 32 della Germania. E di dimensioni e caratteristiche inadeguate. Al contrario, se si parla di grandi superfici e mall di lusso, Milano è diventata la seconda città d’Europa per nuove aperture, con anche Roma tornata timidamente in classifica.
Piuttosto, come già altrove a ritmo vorticoso, arriverà in Italia la convergenza tra commercio fisico e digitale; accompagnata magari dal rebound, il rimbalzo del commercio fisico di cui in America beneficiano per esempio le librerie. Amazon ha appena comprato la catena di cibi freschi Whole Foods, Alibaba la Sun Art, maggiore catena cinese di ipermercati partecipata anche da Auchan. Ed è l’e-commerce che tiene attivi i conti di Axel Springer, prima casa editrice tedesca ed europea. Delle aziende italiane, oltre il 40 per cento di quelle presenti sulla piattaforma Marketplace di Amazon ha incassato nel 2016 più di 250 milioni di euro di vendite all’estero, con clienti in aumento del 50 per cento l’anno. Pur partiti in ritardo, il 90 per cento dei brand di alta gamma apre shop online, così come utilizzano promozioni tutto l’anno. Non è solo Black Friday.