La Stampa, 1 febbraio 2018
Con l’operazione Themis cambiano le regole: naufraghi non più sbarcati solo in Italia
Frontex cambia rotta, con un più deciso impulso alla lotta contro l’immigrazione clandestina nel Mediterraneo centrale. Al posto della missione «Triton», avviata nel 2014 e contestata dal nostro governo, con i passi diplomatici del ministro Marco Minniti nell’estate scorsa, si passerà a «Themis», nuova operazione che cambia in un punto fondamentale: i migranti recuperati in mare, considerati naufraghi ai sensi del mare, saranno sbarcati nel porto sicuro più vicino. Non più, come da accordi precedenti, in Italia e basta, ma anche a Malta.
È indubbio il successo della campagna di Minniti. E non è stato indolore. La missione «Triton» sarebbe terminata ieri e all’ultimo la delegazione italiana, composta da funzionari della Direzione centrale della polizia dell’Immigrazione, l’hanno messa giù dura: o si riscrivevano i diritti e i doveri di tutti, oppure Frontex poteva ritirare le navi. Così ora si cambia. Un piccolo grande segnale che mette in fibrillazione il governo maltese, ma soprattutto costringerà l’intera Europa a guardare con maggior senso di corresponsabilità alla questione degli sbarchi di migranti clandestini dall’Africa.
Era stato Minniti il primo a sollevare a livello istituzionale il tema di un piano operativo a senso unico. Come si ricorderà, nel luglio scorso aprì una polemica con i Paesi Ue che si affacciavano sul Mediterraneo dicendosi soddisfatto «se almeno una nave di Frontex o di una Ong avessero attraccato e scaricato i naufraghi almeno una volta in un porto maltese, francese o spagnolo». Con il vecchio piano operativo di Triton, infatti, ciò non era previsto: la regola era che i migranti salvati in mare da qualsiasi nave inserita nel dispositivo Frontex e dovunque nel Mediterraneo, dovessero essere sbarcati in Italia. Non a Malta, anche nel caso fossero stati salvati nelle loro acque territoriali. E come è noto per tre anni sull’isola non è mai arrivato nessun richiedente asilo.
Con la nuova missione «Themis», dal nome di una dea figlia di Urano e di Gea, simbolo della giustizia nell’antica mitologia greca, si stabilisce che tutto quello che avverrà fuori dall’area operativa, quando coinvolgerà altre navi non Frontex, si applicheranno le leggi del mare. Ossia il porto sicuro più vicino in termini di miglia dalle coordinate dell’intervento di soccorso. Non Tunisi, perché secondo la Corte dei diritti di Strasburgo sarebbe sì vicino, ma non abbastanza sicuro in termini di tutela dei diritti per i richiedenti asilo.
Diventa quindi cruciale definire qual è la cosiddetta area operativa di Frontex: nel tratto verso il Mediterraneo centrale, la responsabilità italiana arretra a 24 miglia dalle coste italiane. L’effetto finale pratico è che l’Italia non coprirà più le acque di responsabilità di Malta. Nei nostri porti, i migranti salvati in mare saranno sbarcati solo se salvati nell’area operativa come ristretta dal nuovo piano operativo. Malta già protesta: la prospettiva di dover accogliere su un piccolissimo territorio qualcosa come 5 o 10mila profughi li atterrisce. E in fondo tutti i Paesi europei si rendono conto che Malta non può farcela da sola. «Ma allora accettate il principio della relocation di quei 5000 tra tutti i 27 della Ue», è stato il principio degli italiani. Non era accettabile il principio che soltanto l’Italia se ne facesse carico. E chissà, una volta aperto un varco, che non si riesca a ricollocare in Europa anche tanti di quelli che oggi sbarcano nei nostri porti.